Avrei voluto cominciare queste riflessioni con un suono, il primo che ci arriva da quest'opera. Un suono incompiuto, un suono del passato, trafugato da un qualche tesoro dei Radiohead o per meglio dire di Jonny Greenwood. Non può certo chiamarsi tradimento un disco che prende spunto dal tradito.

"L'eliminatore" sussurra la sua voce, ma è solo l'inizio. Presto quella voce diventa inarrivabile, inafferrabile. Tutta la  musica sembra inseguirla. Tanti i suoni che provano a raggiungerla. Non c'è brano che può farne a meno. Noi non possiamo farne a meno. I nove capitoli di quest'opera si snodano tra elettronica minimale e strumenti appena accennati. E' lontano il pericolo di incorrere nelle cifre che compaiono minacciose sul display a segnalare il tempo che trascorre, e le tracce che scorrono impetuose.

Si scivola ineluttabilmente all'ultimo episodio di una favola forse complicata, ma una favola che come tutte deve travestire la realtà e deve lasciare il segno. La musica ha ripreso il sopravvento. Adesso è lei che detta i tempi. Adesso è Thom che si lascia trasportare. Ed anche noi ci lasciamo trasportare.

"No more conversation, No more conversation". Adesso la musica può andare.

"The Eraser" ha compiuto la sua missione. Ha cancellato i nostri pensieri. Siamo in preda alle emozioni. Siamo evasi da questo pianeta.

Mi rivolgo a coloro che hanno già ascoltato il disco: provate soltanto ad immaginare se l'autore non lo avesse pubblicato. Provate a pensare a queste note dimenticate in un qualche computer destinato ad essere formattato, destinato a disperdere chissà dove e per sempre i frammenti di un mosaico perfetto.

Mi rivolgo all'autore: Dear Thom, "I can see you, but I can never reach you".

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