PREMESSA:
I Radiohead sono un ottimo gruppo, tra i migliori degli ultimi tre/quattro lustri. La loro musica è assai affascinante, i rimandi simbolici e musicali farebbero impazzire qualsiasi appassionato, sono ottimi musicisti e il risultato d’insieme è sempre efficace ed interessante, la voce di Thom York è magnetica e sofferta quanto basta per prendere chiunque allo stomaco e, dulcis in fundo, sono tra i pochi gruppi che non sono mai cristallizzati ma continuano ad osare a sporcarsi le mani con musiche più o meno nuove ma sempre aliene.
Ecco è soprattutto questo che ti fa amare un gruppo: vedere e soprattutto sentire che non ti propina sempre la stessa minestra. L’impegno dunque e la voglia di mettersi sempre in gioco sono gli aspetti migliori di questa band. Chiaro che mantenere alta la qualità in un percorso che mischia liberamente pop rock psichedelia ed elettronica non è cosa facile, ma avere una schiera di fan abbondantissima aiuta soprattutto se dopo un capolavoro come 'Ok Computer' si cercano vie nuove perché ormai con il rock si è fatto tutto.
Ed è proprio questo confondersi con un’elettronica, principalmente di scuola Warp ('Geogaddi' insegna), che non mi convince. Sarò blasfemo, ma dopo il disco di cui sopra i Radiohead hanno smesso di esaltarmi, non di stupirmi comunque (sempre bello chi riesce a fondere un’elettronica di sua natura freddino con sì tanto sentimento): trovo per esempio 'Kid A' un ottimo album ma nulla più, trovo profondamente sbagliato eleggerlo a capolavoro quando rielabora forme musicali ormai in voga con piglio snob. Detto questo mi avvicino senza nessun pregiudizio al lavoro solista di Thom York, che dei Radiohead è cantante e leader.
FINE DELLA PREMESSA
Cosa ci si può aspettare da questo disco: un folk scarno e sofferente (come potrebbe essere l’ album solista di Eddie Vedder)? Oscuri suoni sperimentali? Un unico drone insistito per quaranta minuti? Una bufala pazzesca di scoregge su un tamburo?
Niente di tutto ciò: le coordinate di 'The Eraser' rimangono dalle parti dei Radiohead più elettronica strizzando gli occhi alle melodie sporcate dei Notwist. Mi verrebbe da parlare di folktronica apocalittica. A farla da padroni sono beat minimali, bellissime melodie di pianoforte una voce da angelo scazzato nel giorno del giudizio ed una produzione assai levigata (fin troppo, in effetti è forse lo stesso difetto che appiattisce Sea Change di Beck, sempre prodotto da Godrich); a volte si fanno spazio a gomitate basso e ritmiche più forti e sono i momenti in cui il disco stupisce.
Prendete il blues transgenico di And It Rained All Night e sentirete emozione vera, un ritmo trascinante ed un’atmosfera insieme trasognata sofferta e pronta a combattere per il futuro. Oppure Harrowdown Hill, quasi funk nell’avanzare in un deserto post-atomico.
Ecco sono termini come post-atomico o apocalittico che vengono in mente ascoltando questo lavoro, un lavoro scuro e piuttosto tagliente come non mi aspettavo che raggiunge il suo apice nella conclusione trascinata e liricamente artificiale di Cymbal Rush.
Un paragone letterario che mi salta in testa è con certi lavori di Ballard, sospesi sul futuro, pessimistici e fiduciosi solo nel disincanto della ragione proprio come questo ottimo album che non si distacca dalla tradizione Radiohead ma le viaggia accanto come una cometa piuttosto lucente.
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