Fra i grandi gruppi americani degli anni settanta di cui si conserva poca memoria in Italia, vanno sicuramente annoverati questi Three Dog Night. Trovare un loro cd in un nostro negozio di musica, anche ben fornito, è abbastanza un'impresa, non così in America dove sono ricordati, rispettati e venerati a livello di leggende. La "Notte da tre cani" (un modo di dire australiano, referente alla vecchia usanza locale di dormire facendo accovacciare qualche dingo presso di sé nelle nottate più fredde), era una formazione con un paio di caratteristiche pressoché uniche: tanto per cominciare i quattro strumentisti (chitarra, tastiere, basso e batteria) erano affiancati da ben tre cantanti di ruolo, i quali si spartivano democraticamente la voce solista tra una canzone e l'altra o anche nell'ambito della stessa, per poi unirsi immancabilmente in potenti e spettacolari cori che rendevano splendenti e sommamente orecchiabili i ritornelli in repertorio.

Seconda peculiarità della formazione era quella di essere sostanzialmente una cover band, e ciò in tempi ben antecedenti a questa moda: in quegli anni di grande creatività ed espansione del rock eseguire musica personale era requisito essenziale per entrare nel grosso giro, ma loro rappresentavano l'eccezione alla regola, limitandosi a comporre non più di due pezzi a disco. L'abilità del gruppo stava a questo punto sia nella scelta di reinterpretare motivi quasi sempre sconosciuti perché composti da giovanotti all'inizio di carriera, non ancora affermati anche se molto validi (Elton John, Randy Newman, Harry Nillson...), sia nella capacità di restituirli con arrangiamenti nuovi di zecca, in grado di esaltare le tre voci e di convogliarne lo stile originario, quanto mai eterogeneo, a quello prediletto dalla formazione, ossia il rock commerciale con forti sfumature rhythm&blues.

I tre cantanti erano tutti bravissimi, tre solide e squillanti ugole la cui encomiabile, certosina e creativa ricerca di coesione, alternanza od intreccio a seconda dei casi, conferiva piena dignità e rispetto al repertorio, certo non avanguardistico. Le tre voci erano fra l'altro molto simili...difficile distinguere chi canta che cosa a meno di non essere ben addentro alla faccenda Three Dog Night. Provando a metterle a fuoco separatamente si può dire che Danny Hutton, benché l'unico non americano (nato nella vecchia Irlanda) avesse il timbro più rauco e negroide, che Cory Wells fosse quello dotato della voce più potente e stentorea, e che infine Chuck Negron possedesse, semplicemente, la voce più bella delle tre, la più piacevole e comunicativa.

La discografia dei Three Dog Night viaggiava nei primi tempi alla media di due dischi l'anno, consentita dal poco impegno in fase compositiva, nonchè dall'abitudine a circoscrivere quasi ogni brano ai tre minuti o poco più del classico formato da singolo. I Long Playing finivano perciò per durare non più di trenta/trentacinque minuti ed è logico ed utile trovarseli ora rimasterizzati a due per volta su supporto digitale. Il dischetto in questione riunisce opportunamente la terza e quarta uscita in microsolco della formazione, targate entrambe 1970, per un totale di diciannove canzoni in soli sessantotto minuti.

"It Ain't Easy" si apre con "Woman", brano degli albori di carriera della James Gang di Joe Walsh, la carica hard rock dell'originale venendone per buona parte stravolta a favore di una straordinaria resa vocale. Molto bella a seguire "Cowboy", opera di Randy Newman che concorse alla colonna sonora del film "Urban Cowboy", venendo soppiantata dalla notissima "Everybody's Talking" interpretata da Harry Nillson. La canzone che intitola il lavoro è invece dei Kinks e tutti ne conoscono soprattutto la versione di Bowie, uscita due anni dopo su "Ziggy Stardust".

Perla assoluta del primo dei due album è senza dubbio "Mama Told Me Not To Come", dovuta nuovamente alla penna del grande Randy Newman. Egli l'aveva scritta per Eric Burdon (Animals) nel 1966, ma in quella versione non era andata da nessuna parte. I Three Dog Night la rivitalizzano a bomba, con un arrangiamento spumeggiante: il disagio (ma non troppo!) raccontato nel testo, del tizio capitato a una festa e che non si diverte per niente (o meglio, ribadisce come mamma gliel'avesse detto che non si sarebbe divertito...) mentre tutti si ubriacano, si strafanno, svengono e mandano cattivi odori, è argutamente reso con un pianetto elettrico carico di stordente vibrato, ad incorniciare il canto debosciato e simpaticissimo di Chuck Negron e poi i cori altissimi e rilucenti del ritornello. Risultato: numero uno in classifica negli USA e Newman che ringrazierà in eterno per il primo, importante riscontro da compositore della sua vita, riconoscendo che la versione dei Three Dog Night è molto oltre a quanto avesse concepito, essendo riuscita a rivestire la sua abituale ironia di irresistibile brillantezza.

La canzone forse più celebre del cd, "Your Song", fu data al gruppo da un Elton John ancora perfetto signor nessuno ed anticipò di qualche mese quella da lui stesso interpretata, tanto per ribadire quanto i Three Dog Night avessero grandissimo naso e gusto nello scegliere cosa reinterpretare.

Il secondo album "Naturally" annovera una cover dei Free, insieme ad altre di personaggi rimasti di nicchia qui da noi come Jesse Colin Young e Alan O'Day, ma soprattutto la solita coppiola di numeri uno in classifica. Primo di essi, che vede come voce solista Danny Hutton, è la tesa e dinamica "Liar" degli Argent, altro gruppo inglese allora agli inizi e che, ad onta dell'immagine tipicamente progressive, contava nelle sue file un insospettabile e talentuoso compositore di canzoni pop-rock, nella persona del chitarrista e cantante Russ Ballard. Molta gente attingerà dal repertorio di questo songwriter (Rainbow, Uriah Heep, Dokken, Santana, Bad English, Kiss, Roger Daltrey, Hot Chocolate, Hello)... anche in questo caso i Three Dog Night aprirono una strada, poi ben battuta da altri.

Messo in fondo al secondo album, e quindi alla fine del cd, vi è il brano autentico simbolo del gruppo "Joy To The World". La posizione defilata si spiega col fatto che entrò in scaletta all'ultimo momento e solo come riempitivo, giusto per finire l'album. Il gruppo non faceva granché affidamento su di esso, ma la casa discografica per fortuna si, e pochi mesi dopo il singolo era numero uno in mezzo mondo. Devastante l'accostamento fra la tranquilla versione rilasciata dalla voce baritonale e languida del suo autore, il musicista country Hoyt Axton, e quella spumeggiante e gioiosa alla massima potenza resa dai Three Dog Night. La frase non-sense iniziale intonata da uno straripante Chuck Negron "Jeremiah Was a Bullfrog..." (Geremia era una rana-toro...), a suo tempo improvvisata da Axton per proporre, chitarra in mano, la canzone ai suoi produttori e poi inopinatamente mantenuta nel testo, costituisce da trentott'anni a questa parte un patrimonio comune a qualsiasi cittadino americano; tanti di loro ritengono addirittura che il brano si chiami così. "Gioia Per Il Mondo" trasmette esattamente quello che augura nel titolo: un'irresistibile serenità e contentezza, una carica di energia ogni volta che la si ascolta. E' una grandissima, solare e trascinante canzoncina gospel, giustamente celeberrima; darei non so cosa per vederla intonata, dentro una chiesa americana, da uno di quei loro cori liturgici formati da decine di neri e nere enormi, alti, ciccioni e vestiti tutti uguali. Sarebbe uno sballo:

"Joy To The World

All The Boys And Girls

Joy To The Fishes In The Deep Blue Sea

Joy To You And Me".

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