Quando si dice musica strumentale si tende sempre a pensare a quella frangia di artisti devoti al pluricitato post-rock stile Godspeed You Black Emperor! Oppure ai forse più noti Mogwai; oppure ultimamente (ma nemmeno tanto, visto che è in giro già da parecchi anni) alla veste pesante del suddetto genere: il post-hardcore strumentale di gente quali Pelican, Red Sparowes, e compagnia.
Beh, si potrebbe dire che gli italianissimi Three Steps To The Ocean, appartengano a tutte e due le derive, che siano un sunto esemplificativo di tali sonorità dilatate. Beh, si potrebbe dire, si, ma in parte, visto che sono più di questo e forse meno (ma in senso positivo) visto che di band così ormai in giro ce ne sono parecchie, per non dire troppe, forse.
Perché più e meno di tali sonorità è presto detto: i TSTTO sono post-rock, si, ma nell’animo, non nella forma, e lo stesso si potrebbe dire per quanto riguarda il post-hardcore; sono dilatati, bensì concisi, cupi, ondosi come il nome stesso farebbe pensare, pieni di elettronica elegante e mai invadente, pieni di psichedelica ovattata e a volte talmente sognante da indurre a chiudere gli occhi. Sono emozionali fino al midollo, sono minimali (e qui il senso del “meno”), essenziali, bensì pieni, con quei pianoforti, con quei suoni scarni, e allo stesso tempo avvolgenti, con quelle perle avanguardiste che richiamano certo folk, con quel senso tutto italico di intendere la musica, quasi mediterranei, eppure esportabilissimi, sono progressivi nel vero senso del termine, si riempiono man mano che il pezzo prosegue, e nemmeno per un istante, che sia uno, si sente la manca di quello strumento essenziale del rock: la voce, cosa che è purtroppo successa troppo spesso in altri gruppi di codesto genere.
Sei brani, ma potrebbe essere benissimo uno, unico lamento di malinconia urlata ma muta, fuoco che divampa soprattutto nei momenti acustici, dove quei campionamenti, quei synth si fanno padroni di ritmiche sintetiche asciutte e avvolgenti. Poi senza accorgertene arriva già il finale, e tutto assume un significato ancora più accecante, la purezza di quella melodia disperata nella coda di “il quinto giorno” che ti fa dire: “beh, i ragazzi hanno stoffa e da vendere!”.
Post rock, post-hardcore, si, ma caricati di significati nuovi, freschi, attorniati da elementi non nuovi ma ben studiati e per questo interessanti e sorprendenti.
Ancora non si grida al miracolo, ma i ragazzi sanno bene come far andare la loro macchina nella giusta via e alla giusta velocità, provocando brividi imbarazzati, stupefatti, dove dici: “si ok, già sentito, forse un tantino derivativo, ma porca miseria che bellezza!!”.
I Three Steps To The Ocean cresceranno, e lo faranno nel migliore dei modi, ne sono certo, convinto fino in fondo, sapranno smussare qualche piccolo angolo, qualche piccola sbavatura, per saper diventare veramente grandi.
In fine dico un nome: James Plotkin! Pluriosannato artista e guru del rumore (tra le fila di Khanate, Khlyst, ecc ecc) che compare nelle note in seno al mastering di questo lavoro, e se non è garanzia lui, chi lo è oggi come oggi?
Avanti così ragazzi...
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