In fondo c'era da aspettarselo. Arriva per tutti il momento in cui una band decide di assestarsi. Mette da parte le certezze che la carriera gli ha dato e lascia fuori tutto il resto. Le sperimentazioni, il coraggio, l'insita necessità di modificarsi. C'è chi si affida al consolidato, chi se ne va per un'altra strada e chi continua a percorrere sempre la stessa. Gli inglesi Threshold hanno deciso di seguire il cammino già tracciato, forse simboleggiato da quei binari che si perdono nella polvere. Parliamo di una band che ha ormai 25 anni di carriera alle spalle, la morte del singer Andrew McDermott, album riusciti ed altri meno. Punto di riferimento sicuro e classico per gli amanti del progressive metal meno impegnato e cerebrale. L'ultimo disco, "For The Journey" (settembre 2014), segue il solco scavato dall'ultima parte della carriera del combo.

"March Of Progress" (2012) e il come-back di Damian Wilson dietro il microfono avevano segnato il ritorno dei Threshold, un po' fuori dalle scene dopo l'ottimo "Dead Reckoning". Figli minori dei Dream Theater, i Threshold hanno sempre saputo svincolarsi dai tecnicismi soffocanti e spesso inutili di Petrucci e soci. Partiture meno complesse, incedere più canonico e lineare a cui i Threshold sono sempre stati in grado di aggiungere la giusta dose di classe e melodia. "For The Journey" ha gli stessi ingredienti e li mescola riutilizzando la ricetta che era già stata buona per "March Of Progress", seppur con qualche sbandamento più evidente.

I Threshold sono uno di quei gruppi che danno l'impressione di non poter mai andare sotto la sufficienza, ma allo stesso tempo non fanno mai gridare al miracolo vero e proprio. "Wounded Land" e "Psychedelicatessen" rimangono lavori di straordinaria fattura, ma riprendevano gli stilemi che altri avevano già tracciato per loro. L'ultima fatica ha gli stessi problemi di sempre: ripropone le stesse atmosfore, non osa e anche per questo non va realmente a segno. E' il solito buon disco di "classic progressive metal" con musicisti che sanno il fatto loro e poco altro. La produzione "plasticosa" della Nuclear Blast non fa altro che mettere in risalto un mood freddo, asettico. In "For The Journey" non c'è niente che si può definire "brutto", ma c'è anche poco di trascendentale. Il singolo "Watchtower On The Moon" è il solito ottimo pezzo di apertura diretto e melodico che svolge bene il suo mestiere, "The Mistery Show" e "Siren Sky" mischiano ancora sapientemente nostalgia e musicalità. Al contrario "Unforgiven" si butta via in un refrain che ha poco motivo di esitere, così come l'interessante ma anche stucchevole prima parte della lunga "The Box".

L'impressione è che i Threshold più che in passato abbiano inseguito un'ariosità che non si confà al disco, ma che anzi spesso risulta fuori luogo. Siamo ai soliti discorsi: il talento si percepisce, il songwriting è comunque stratosferico se paragonato all'endemica mancanza di idee del genere, ma è il classico lavoro che puzza di "già sentito". Godibile, da ascoltare quantomeno come completezza nella discografia dei sei inglesi. Altro binario che non da più nuove destinazioni.

1. "Watchtower On The Moon" (5:32)
2. "Unforgiven" (5:37)
3. "The Box" (11:58)
4. "Turned To Dust" (4:19)
5. "Lost In Your Memory" (4:36)
6. "Autumn Red" (5:42)
7. "The Mistery Show" (5:37)
8. "Siren Sky" (6:10)

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