Fine agosto: i Threshold (quelli inglesi) pubblicano per mano della Nuclear Blast il nono album in studio, intitolato "March of progress". Una band che nel corso degli anni ha dimostrato il proprio valore con lavori come "Psychedelicatessen", "Subsurface" e "Dead reckoning".

"March of progress" arriva dopo un periodo di silenzio e gestazione durato quattro anni: nel frattempo la morte del singer Andrew McDermott aveva scosso band e fans. Una perdita dolorosa, capace di riflettersi anche nel mood generale di quest'ultimo lavoro. McDermott viene "sostituito" da Damian Wilson, vecchia conoscenza dei Threshold, cui ha prestato la voce per l'esordio "Wounded land" e in "Extinct instinct".

Difficile il compito per la band di Surrey: dover riconfermare il successo di pubblico e critica ottenuto con "Dead reckoning" (2007) e allo stesso tempo affrontare un cambio di line up delicato come quello dietro il microfono: discorso diverso per l'aggiunta di un altro chitarrista, tale Pete Morten che poco offre al risultato finale del cd.

Un lavoro atteso da tempo, che subito dopo la sua uscita ha diviso: chi lo elogia parlando di un lavoro che conferma il trend positivo del gruppo, chi lo addita negativamente a causa di una produzione eccessivamente "patinata", che snatura l'anima metal che nel bene e nel male è la più marcata nei Threshold. I "contestatori" parlano della mancanza di mordente, e accusano MOP di essere eccessivamente manieristico nel suo perfetto cesellamento di suoni. Una critica vera, reale che però si affianca alla solita grande qualità compositiva di Groom e soci. "Colophon" è l'emblema esatto di questa doppia "personalità" thresholdiana: una produzione cristallina (forse fin troppo) che supporta e completa un songwriting oscuro, ottimamente studiato, con cui viene creata una delle canzoni più avvincenti dell'intero platter. Le stesse cose si possono dire per "Staring at the sun" dove le chittare sembrano quasi suonare con il freno a mano tirato, restando in secondo piano rispetto a Wilson, che riesce a fare quello che vuole dietro il microfono. Nota di merito a lui per essersi trovato nella difficile situazione di sostituire McDermott e aver comunque tirato fuori tutte le proprie doti vocali.

Ma c'è anche una terza anima in MOP, forse quella che meno è stata analizzata e che meno risalta ascoltando il cd: un "alleggerimento" della complessità tipica del progressive metal, in favore di una forma canzone più "canonica", maggiormente easy. Ne sono riprova il singolo d'apertura "Ashes", nonchè la già citata "Staring at the sun", la ballad "That's why we came" (che fa il verso ai Rush) e in parte minore "Coda", highlight assoluto del disco, impreziosito da linee vocali magistralmente interpretate da Wilson. Naturalmente ad affiancare questa nuova sottile veste dei Threshold ci sono anche i cari vecchi brani tipicamente progressive: la melodia di "Liberty, complacency, dependency", la complessità apparente e le divagazioni strumentali di "The hours" e infine il pathos drammatico della conclusiva "The Rubicon".

"March of progress" è un misto di cose diverse, nessuna delle quali prende il sopravvento sulle altre. I vecchi trademark della band rimangono inalterati e coesistono con qualche nuovo lampo, come appunto un approccio più easy listening, partiture meno "architettoniche" e una predilezione generale per atmosfere maggiormente soft. Ecco il motivo per cui l'ultima fatica dei Threshold merita di essere ascoltata: varietà, capacità compositive messe in mostra da musicisti validissimi e infine una produzione che può far storcere il naso, ma che contribuisce a rendere "March of progress" un prodotto di indubbio valore.

1. "Ashes" (6:51)
2. "Return Of The Thought Police" (6:09)
3. "Staring At The Sun" (4:25)
4. "Liberty, Complacency, Dependency" (7:48)
5. "Colophon" (6:00)
6. "The Hours" (8:15)
7. "That's Why We Came" (5:40)
8. "Don't Look Down" (8:13)
9. "Coda" (5:22)
10. "The Rubicon" (10:24)

Carico i commenti...  con calma