Conobbi i Thrice un paio di anni fa, con "The Artist In The Ambulance", una discreta miscela di emo e post-hardcore che talvolta, però, risultava fin troppo confusionaria ed inconcludente e, infatti, dopo ben pochi ascolti, lasciai finire il disco nel mio personalissimo dimenticatoio, senza nessunissima fatica.

Anno Domini 2005: esce questo "Vheissu"; le numerose recensioni positive, lette in giro per il web, mi convincono a dargli un'occhiata. Partono le note di "Image Of The Invisible", opener e primo singolo estratto: classico pezzo alla Thrice, potrebbe sembrare tranquillamente uno scarto di "The Artist In The Ambulance". E già nella mia mente comincio a malignare, immaginando di avere tra le mani un disco fotocopia di quello precedente; quand'ecco che partono le note della seconda traccia, "Between The End And Where We Lie": il ritmo è lento, l'atmosfera malinconica ed io mi stupisco di non essermi mai accorto che la voce di Dustin Kensrue fosse così bella. Dopo la trascurabile "The Earth Will Shake", traccia numero tre, in cui si ritorna verso lidi più aggressivi, arriva il momento di uno dei picchi del disco, "Atlantic": si rallentano di nuovo i ritmi, l'atmosfera si fa nuovamente rarefatta e il cantato, sussurrato e dolce, è quasi ipnotico. Un gioiello di grande intensità. Il pianoforte che introduce la traccia numero cinque, "For Miles", brano sicuramente influenzato da pesanti dosi di Radiohead (a parte l'epica chiusura in scream), mi fa rendere definitivamente conto dell'evoluzione della band, che in "Vheissu" rallenta decisamente i ritmi e riserva molto più spazio, rispetto al passato, a melodie e sonorità più morbide, lasciandole però, nel contempo, perennemente in bilico con la proverbiale ruvidezza che da sempre contraddistingue i Thrice.

Quel che esce fuori è un suono più vicino all'alternative rock che non al mix di emo e post-hardcore degli esordi: le chitarre, prima dirompenti, qui sono messe in secondo piano, pur rimanendo perfettamente evidente l'ottimo lavoro del chitarrista; i tempi dispari, così come gli inserti di elettronica e tastiere, sono presenti in dosi massicce, come mai prima in un disco dei Thrice (menzione particolare, tra l'altro, proprio per la sezione ritmica, in grandissima forma); lo scream è ridotto all'osso, in modo così da rivelare le grandi doti melodiche della voce di Dustin, qui più calda e suadente, che non rabbiosa e graffiante, basti ascoltare brani come le già citate "Atlantic" e "For Miles", o le fantastiche "Music Box" e "Red Sky". Il risultato di tutte queste novità, risulta decisamente spiazzante, se paragonato alla precedente discografia della band, cresciuta enormemente sia dal punto di vista del songwriting che da quello delle lyrics.

Arrivo alla fine del disco abbastanza stupito; mai mi sarei aspettato che i Thrice potessero tirare fuori dal cilindro un disco di una così grande intensità, cantato e suonato benissimo, che sprigiona oniricità da ogni sua nota. Uno splendido lavoro che mi ha fatto rivalutare un gruppo che ritenevo senza infamia e senza lode. Senza dubbio uno degli album del 2005.

Bravi, bravissimi Thrice.

Carico i commenti...  con calma