Premessa numero uno: seppur sia già presente sul sito una recensione su questo album, ritengo che il mio contributo possa costituire un valore aggiunto per i lettori di Debaser. Se infatti quella presente è ottima nel descrivere il punto di vista di chi s'imbatte per la prima volta nella musica dei TG, la mia va piuttosto ad illustrare il significato dell'opera per chi i TG già li conosce e li ama.
Premessa numero due: più che esaltazione, le reunion, tanto in voga in questi tempi, mi suscitano diffidenza ed estrema cautela. L'esperienza c'insegna infatti che operazioni del genere, più che fucine di vere gioie, sono divenute nel tempo regolari appuntamenti per sputtanare un mito.
Premessa numero tre: dare 5 stelle ad un album del 2007 è per me cosa davvero insolita, dato che faccio parte di quella schiera di antipatici poco avvezzi all'esaltazione che pensano che in musica il meglio sia già stato fatto.

Bene, ora che le dovute premesse sono state fatte, lo posso dire: questo album è un cazzo di capolavoro!
Cosa, infatti, era lecito aspettarsi da una band che più di trent'anni fa ha compiuto una vera rivoluzione, ha gettato le basi di un nuovo genere, l'industrial, e torna adesso ad affacciarsi sul mercato discografico quando nel frattempo, proprio in ambito industrial, è stato detto tutto e il contrario di tutto? In tutta sincerità, non ci si poteva aspettare altro che un onesto aggiornamento della gloriosa musica che fu, il tutto eventualmente infiacchito dalla vecchiaia e da menti non più al passo coi tempi. Con gli occhi strabuzzanti e la mandibola tremolante, invece, ci troviamo fra le mani un lavoro fresco, freschissimo, non dico avanti, ma certamente oltre, al di fuori dei generi e dei tristi revival. Un album che si candida a tutti gli effetti disco dell'anno (dai, vabbé, aspettiamo di vedere cosa hanno combinato i Neurosis...).
La forza di "The Endless Not" sta forse nell'essere un falso ritorno, nel non costituire una nuova partenza, ma un punto di arrivo: non c'è bisogno di scaldare i motori, potremmo dire, poiché i motori (e le menti) non sono stati mai fermi. Come una temibile piovra l'entità TG ha negli anni allungato i tentacoli in diverse direzioni attraverso le mirabili gesta dei suoi componenti, che hanno preseguito il loro insano cammino dando vita a progetti clamorosi e continuando a sfornare prodotti di grande qualità. L'entita TG ha così negli anni continuato ad operare sotto mentite spoglie, sotto i nomi di Coil, Psychic TV e Chris & Cosey, e queste esperienze confluiscono oggi in un unicum che, pur portando impresso a caratteri cubitali il marchio TG, suona come i TG non hanno suonato mai.
Che i TG siano stati dei grandi innovatori non è un caso fortuito. Non è solo con il genio che si crea, ma anche e soprattutto grazie alla conoscenza: chi conosce, chi ha un'ampia percezione delle cose, chi capisce la logica ad esse soggiacente è avanti. E "The Endless Not", che certo non avrà l'impatto destabilizzante ed innovativo che ebbe il seminale "The Second Annual Report of Throbbing Gristle", lungi dal costituire un facile riciclaggio, ci consegna degli artisti che non solo dimostrano di non aver perso la curiosità, la voglia di aggiornarsi e lo spirito di intraprendenza che da sempre li contraddistingue, ma che hanno saputo, con interesse ed umiltà, metabolizzare le lezioni dei propri discepoli, e più in generale, i progressi dell'elettronica, che dall'81 ad oggi di strada ne ha fatta, grazie ai vari Aphex Twin, Autechre, Matmos, Black Dice, Wolf Eyes e via discorrendo.

Cazzo, personalmente parlando, non godevo così dai tempi di "Kid A", album che, pur in altri ambiti, rappresenta l'evoluzione qui presente. Il passato dei TG sta infatti a "The Endless Not" come il passato dei Radiohead sta a "Kid A", prodotto fresco ed ispirato che disgrega e ricompone quanto fatto in precedenza, annettendo nuovi elementi e rileggendo il tutto con una rinnovata consapevolezza nei propri mezzi. Meno caustici ed improvvisatori di un tempo, i TG "ritornano" all'insegna della cura del dettaglio e della cognizione di causa. Il processo creativo sembra svilupparsi lungo due dimensioni opposte e perfettamente complementari.
Peter Christopherson e Chris Carter costituiscono quello che possiamo definire l'asse della lucidità
: la chirugica opera di manipolazione e campionamento del primo e le laceranti esplorazioni dei sintetizzatori del secondo (pure motore ritmico e responsabile degli aspetti di produzione) si intrecciano ed accavallano in una perfetta simbiosi di ritmi martellanti ed eiaculazioni sonore, palesando un lavoro attento e certosino, atto al controllo ragionato di ogni singolo particolare.

Cosey Fanni Tutti e Genesis P-Orridge (oggi Genesis Breyer P-Orridge) sono invece due perfetti gonfi, e vanno a costituire l'asse dello squilibrio mentale. Cosey, oramai affascinante cinquantenne alcolizzata e completamente rimbambita per via degli stravizi (vedere dal vivo per credere!), sembra più vittima che artefice del delirio collettivo: la sua chitarra viene tritata e frullata dai folli compagni dietro ai macchinari, mentre il suo pregevole lavoro chitarristico si assesta sul piano di una mera opera di rifinitura noise-psichelelica. P-Orridge, che meriterebbe un discorso a parte (non ho ancora capito se ha cambiato sesso o più semplicemente si è fatto innestare un bel paio di tette!), continua, ieri come oggi, ad essere un non-cantante, ma dietro la sua performance si sente innegabilmente il peso dell'esperienza maturata con gli ottomila dischi usciti a nome Psychic Tv: la sua ugola stridola e tremolante si assesta sui toni fatali di una troia da night-club, a tratti ricordandoci il buon Balance (R.I.P.), a tratti lanciadosi in disturbanti nenie esoteriche (la delirante "Lyre Liar"), andando così ad innalzare alle stelle il tasso di malattia dell'intera opera.

"The Endless Not" si evolve all'insegna dell'ecclettismo, un po' com'era successo con il vario "20 Jazz Funk Greats". E dopo un doveroso tributo al caos più letale con il pezzo di apertura, l'ottima "Vow of Silence", temibile crescendo spacca-orecchie in cui il latrato spezzetato di P-Orridge suona come l'urlo isterico di una iena ridens, è una vera sorpresa imbattersi nel piano jazz che apre la formidabile "Rabbit Snare", incubo lynchano dall'ipnotico incedere, animato dalla strampalata tromba di Cosey e dalla allucinata performance del sempre malatissimo P-Orridge, che si muove scoordinatamente come un Thom Yorke con gli occhi inniettati di sangue e l'accetta in mano: "Do you love me?, Why are you scarred?", domanda perso e desolato in un inconcludente soliloquio d'amore dalle fosche tinte noir.
ll discorso proseguirà in un continuo alternarsi di squassanti assalti di insano rumorismo in tipico TG style (i monumentali 10 minuti di "Greasy Spoon"!) e pezzi crepuscolari che richiamano alla mente i Coil dei due grandiosi tomi di "Musick to Play in the Dark" e gli Psychic Tv del loro imperdibile esordio "Force the Hand of Chance" del 1982 (come non citare l'orribile ballad "Almost a Kiss"!). Il tutto condito dalle atmosfere electro-trance già ritrovate nei lavori di Chris & Cosey e da un alone mistico che aleggia per tutto l'album (è evidente che l'esoterismo dei Coil è divenuta componente essenziale del sound dei nuovi TG). Una catastofica via crucis che si spegnerà nella catarsi della conclusiva "After the Fall", i cui riverberi ci lasciano, oltre che scossi, con l'impressione di essere venuti a contatto con una grande cosa.

Il post-industrial dei TG del 2007 è qualcosa di indefinibile, è come se la musica dei Nostri avesse subito un processo di smaterializzazione, processo che va a ricalcare l'iter involutivo del nostro mondo, oramai indirizzato verso una complessità sterile, indomabile e deleteria nei suoi effetti disumanizzanti: la fisicità di un tempo non è più necessaria, poiché il mondo si è sgretolato e ha perso consistenza. Alla pesantezza dei macchinari, alla monumentalità delle fabbriche, alla tangibilità dei bulloni subentra l'era ICT, un'epoca strana ed eterea, minacciosa ed inafferrabile, non più dominata dalle "buone e vecchie" frustate sul groppone, ma dalle speculazioni finanziarie, dai processi di globalizzazione, dall'informazione che perde consistenza, dall'impossibilità di costruire il Reale, i cui piani si moltiplicano e confondono in un collettivo ed inconsapevole collasso psichico. E in una società in cui la sede di lavoro diviene il proprio portatile, in cui i rapporti interpersonali si instaurano attraverso la Rete, in cui il tuo interlocutore è solo una voce che non ha un volto o semplici parole che scorrono su un monitor, la musica dei TG diviene più stordente, attuale e penetrante che mai.

Il processo di interiorizzazione è oramai innescato: la Fabbrica della Morte è dentro di noi!

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