Si fa presto a dire emo.
E può voler dire una sequela interminabile di cose, e da buona etichetta poter essere attaccata alle più svariate cose, dalla bellezza dei Mineral a merda indecorosa come i My Chemical Romance, a volte dipende dagli anni in cui essa è prodotta, a volte no. Per quel che mi riguarda me ne sbatto dei fattori di consumo e costume e per me emo vuol dire emotività(contestualizzata in un certo genere musicale ibrido di certo posthardcore e figlio pure, non vogliatemene, di Codeine e Karate) allo stato puro, e ci ficco dai Glassjaw ai nostrani Klimt 1918 fino ai Thursday, appunto Con questo No Devoluciòn ci troviamo davanti ad un lavoro piuttosto diverso dal precedente Common Existence, nel quale stanziava sempre una latente furia punkhardcore. Qui è tutto sotto formalina. Sarà che i pruriti di violenza il frontman Geoff Rickly se li è levati nel progetto grindcore United Nation (roba da leccarsi le dita dei piedi), o chissàchecazzo, insomma, entriamo in uno spazio atmosferico bianco, ma attenzione non asettico.
Punto primo: il disco è prodotto da David Fridmann, uno che coi suoni non scherza, chiedetelo a Mogwai e ai Mercury Rev, e difatti il risultato è aria fresca cristallina. Il disco parte subito con la dichiarazione d'intenti artistici. "Fast To The End" è purezza, nonostante l'assalto chitarristico introduttivo, siamo subito catapultati in un intreccio di chitarre eteree e di synth che accompagna una voce soffiata, il ritornello è di deftoniana memoria vocalmente parlando, e quando arrivano le grida son in sfumare verso l'infinito. Un synth "enorme" e dai toni epici introduce l'ottantiana "No Answers", con un ritornello tanto storto quanto melodico, che si apre su chitarre spessissime, la voce che finisce per ricordarmi (con le debite distanze) Martin Gore dei Depeche Mode.
Le chitarre diventano ispide e debite al punk su "Open Quotes" che lanciano un grido lancinante innestanto in una bordata di tastiera, la voce si apre su territori più aggressivi, con riff spezzati su batterie dritte, posthc da manuale, per tornare in punta di piedi. "Past And Future Ruins" è una fotografia sbiadita di visioni postapocalittiche, piano, effetti, e una chitarra introducono ritmiche tribali postmoderne sul solito impianto vocale cristallino, fino ad esplodere in staffilettate di chtiarra dritte e distorte, fino a grida disumane che durano il tempo di ritrovare l'etere. Nozione speciale per la spaziale "Empty Glass", un organo cosmico che stende un tappeto di pulviscolo ad una voce persa nel cosmo, note blu di tristezza, oblio, ad introdurre la fisarmonica di "A Gun In The First Act", un crescendo di ritmiche tribali meccaniche, inumane, e chitarre aspre e gigantesche che arrivano ad una trasformazione mostruosa.
Avete voglia di allegria? Avete sbagliato porta.
Emo è chi Emo fa.
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