Parafrasando il testo dell'opener "The Temple Of The Crescent Moon", sono passati cinque anni dal precedente lavoro degli svedesi Tiamat e sono stati anni di "tuoni, fulmini e pioggia", nei quali i nostri si sono presi una bella pausa, hanno realizzato un dvd ("Church of Tiamat") celebrativo con tanto di live in allegato ed un best of ("Commandments"), con i quali chiudere la lunga parentesi discografica con la tedesca Century Media, che per prima puntò sul loro talento, accompagnando la band lontano dai primordiali lidi death fino al moderno gothic rock/metal di "Prey", per accasarsi infine tra le braccia della potente Nuclear Blast.

Bene, ne è valsa la pena di attendere tanto tempo per questa new release? A sentire quelli della label tedesca si direbbe proprio di si, per non parlare poi del Johan Edlund pensiero.

Dopo un attento e ripetuto ascolto di "Amanethes" la domanda che sorge spontanea è: tutto qui? E' davvero questo il massimo sforzo profuso dai nostri svedesi per poter tornare a deliziare i propri fan dopo tutto questo tempo? Davvero la montagna ha partorito questo topolino?

Ora non vorrei sembrare impietoso, ma questo nuovo album, lungamente atteso e desiderato, è davvero una sconcertante delusione.

Che i nostri non siano mai stati fedeli ad una singola linea/filone musicale è cosa assodata, così come la loro grande capacità di trasformare eteree (anche abbastanza psicadeliche, invero) e sognanti songs in veri e profondissimi incubi di un roccioso gothic metal. Ma è proprio qui che nascono le grane, le problematiche di questo "Amanethes": tutti i brani proposti sembrano non avere un denominatore comune e di certo la composizione della track list non aiuta nella ricerca di un filo logico che unisca tutte le componenti musicali del variegato e variopinto mondo che risiede nella mente del massimo compositore, cioè Edlund stesso.

L'impressione che si ha già dal primo ascolto e quello di assistere alla realizzazione di un compendium di idee messe a caso e registrate (ottimamente, come di consuetudine in casa Tiamat) a mò di prova, insomma incise tanto per non lasciarle cadere in qualche angolo remoto della memoria.

E dire che la partenza faceva presagire ad un disco davvero succulento, quasi un ritorno al passato (vagamente dal sapore black come in "The Astral Sleep") grazie a chitarre decisamente taglienti, doppie casse, sporadici beatblast  incastonati tra meravigliose melodie goth e modernamente darkeggianti: "The Temple Of The Crescent Moon" e "Equinox Of The Gods" valgono sicuramente l'acquisto del platter in questione, ma bisogna ammettere che dalla terza traccia in avanti, per ben altre 12 songs, escludendo le sole "Lucienne" (abbastanza accattivante nel chorus e comunque gradevole nell'insieme), "Raining Dead Angel" (stiracchiatissima sufficenza) e la conclusiva "Amanes" (alquanto oscura ed opprimenete, nonché ben congeniata, grazie al suo saggio alternasi tra intimismo acustico e spettrale potenza doom), tutto il resto si presenta come un caleidoscopio di pretenziose banalità pseudo rock/country, pseudo pinkfloydiane, pseudo folk, pseudo cantautoriali.

Le punte massime in negatività si presentano con la desolante rock balland "Will They Come" (interpretazione vocale imbarazzante), la Portished oriented "Summertime Is Gone" (davvero noiosa) e la country/folk (orribilmente melensa e scontata) "Maliae".

Le restanti non citate non posseggono particolari spunti di rielievo, passano inosservate come dei riempitivi, intorpidiscono l'incauto ascoltatore, ma almeno non lasciano quel pessimo sapore amaro di delusione e disappunto che purtroppo sovente fa capolino durante la listening session di questo davvero debole "Amanethes".

Il peggiore capitolo della storia dei Tiamat: l'inizio della Fine?     

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