2003, una band svedese, la cui costante è Johan Edlund, pubblica la propria resurrezione artistica sotto forma dell'ennesima trasformazione stilistica.

I Tiamat cominciano col nome di Treblinka (nome di un campo di sterminio nazista) suonando Black Metal. Pochi anni dopo modificano il proprio nome in Tiamat (Divinità sumera del caos) e attraversano una fase Death, poi Doom/Death Metal. Sconvolgono i propri fan con "Wildhoney", vero e proprio punto di massimo o di minimo come si può desumere dalle tante recensioni presenti. Il genere diventa Gothic Metal, per poi attenuarsi in un Rock sempre più tendente al Pop, un po' la fine dei Paradise Lost insomma. Personalmente ritengo "Wildhoney" la pietra miliare della band, oltre che del genere. Per il resto c'è il vuoto intorno a questa band che non aveva fatto nient'altro di rilevante.

Nel 2003 esce 'Prey', e dal nulla viene fuori Il miglior connubio tra musica e amore mai realizzato. Musicalmente parlando è Gothic Rock con leggerissime influenze elettroniche. Ma si tratta di una serie di poesie d'amore di rarissima bellezza accompagnate da una voce oscura, calda e avvolgente. Non c'è grande tecnica nelle scelte dei riff e delle tastiere, ma molta passione e a volte sembra di essere scaldati da una presenza invisibile, impalpabile ma estremamente penetrante… "Cain" introduce con un cinguettio e un lieve arpeggio in questo mondo di ombre e presenze e nonostante l'abisso che c'è con 'Wildhoney', si nota la volontà di richiamare la stessa atmosfera dell'intro di 10 anni prima. Scalta commerciale, stilistica o casuale che sia, l'efficacia c'è e c'è il trasporto attraverso le campane delle tastiere, i riff molto lontani dal metal ma sempre massicci e presenti, le linee di basso insistenti… "Cain" si conclude con "Ten thousand Tentacles", seconda traccia. Il trasporto si materializza in sole sensazioni di tatto, mai immagini, solo buio. "Wings Of Heaven" è un altro esempio di amore suonato e concretizzato attraverso parole enfatizzate dall'espressività di Edlund: The wings of heaven are descending/The touch of her naked skin's amending/The skies will collide/Only for a little while/And it will take us trough the night.

"Love In Chains" fa parte delle canzoni volutamente più "cattive", forse per non perdere del tutto quell'aspetto di metallari inquietanti che tanto fa vendere al giorno d'oggi. La canzone funziona e non è affatto spiacevole se la si sente senza pensare a ciò che può averla partorita. Quasi a contrastare, la ballata "Divided" trasporta ancora attraverso rarefatti veli vellutati verso sensazioni di trepidante attesa e di desiderio. La voce coinvolgente di Edlund si completa con un'ottima scelta vocale femminile che rende il tutto più reale e significativo, ancora attraverso un testo di rose recise che non vogliono appassire… Emblematica la tragica conclusione: Our love's dead by dawn/And as the day begins/The sun is soothing my skin/And I am divided/I am divided/For love/I have to say/That all of this time/I waited for someone like you/Your are my dream…

"Carry Your Cross An I'll Carry" presenta un altro duetto in cui stavolta è protagonista la voce femminile. Ancora c'è un chiaro contrasto con la traccia precedente. E' un'altra canzone meravigliosa, ma la domanda che sorge spontanea è perchè questi accostamenti? Sono casuali o semplicemente non si vuole dare continuità per poter accontentare più pubblico possibile? Ma non importa alla fine, perchè l'obiettivo di arrivare fin dentro al cuore viene raggiunto e non riesco a disprezzare un lavoro che di buono ha quasi tutto. "Triple Cross" è un'altra estensione della traccia precedente, affidata al sinth e alle tastiere. "Light In Extension" è ancora una volta una svolta di umore, e troviamo un Edlund più rauco che serpeggia tra chitarre compatte e un ritmo decisamente più sostenuto. Non mancano però momenti di assoli e un ritornello orecchiabile. "Prey" sembra l'unica traccia presa da 'Wildhoney', ed è l'unica alla fine che eguaglia il livello irraggiungibile del capolavoro. Molto inquietante e psichedelica, oscura e tetra in quei rintocchi d'orologio.

Stavolta "The Garden Of Heathen" è l'intro alla successiva e anticipa il tema principale di "Clovenhoof", altra canzone orecchiabile e tipicamente strutturata per un ascolto semplice. Eppure non è male, l'efficacia delle strutture melodiche raramente è così forte. Poi dal nulla spunta "Nihil", che ricorda moooooolto lontanamente il passato Doom dei Tiamat. Non viene abbandonato lo stile principale, quello di fare musica semplice ma coinvolgente, solo che in questa dodicesima traccia pare vengano attraversati tutti i principali momenti stilistici dei Tiamat! Curiosa. La conclusione è una ballata accompagnata da un inquietante organo e attraversata da strutture tipicamente psichedeliche e da inserti vocali presi da film.

Che dire, alla fine è un ottimo disco fatto da canzoni tra le più belle mai scritte e cantate. Edlund se la tira parecchio e questo lo rende abbastanza antipatico, ma non riesco a negare quanto i suoi componimenti riescono ad incunearsi direttamente nell'anima senza passare per sensazioni fisiche forti.

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