Il mondo della musica, connesso in maniera indissolubile con la cultura pop (di cui del resto costituisce una parte), può presentare periodicamente delle vere e proprie anomalie. Manifestazioni fenomenologiche che escono da ogni schema consolidato e abituale e che per qualche ragione sia di natura opportunistica che per il proprio talento (eventuale) divengono un caso unico oppure magari fanno scuola e dettano la moda. In questo caso qui ci troviamo al cospetto di un musicista giovane e di grandisismo talento e che sebbene abbia nulla a che fare con la musica pop, si può però considerare una specie di "fenomeno" particolarmente attenzionato anche da un pubblico che è generalmente disinteressato alla musica jazz. Sto parlando del pianista jazz Tigran Hamasyan. Classe 1987, Tigran è nato a Gyumri in Armenia, ma vive a Los Angeles da quando aveva 16 anni. Comincia a suonare il piano a 3 anni. Nel 2003 vince il primo dei suoi tanti prestigiosi premi come rivelazione al Festival di Montreaux. Nel 2006 a soli diciotto anni registra il suo primo disco solista, poi è la volta del suo primo disco con il suo gruppo storico (gli Aratta Rebirth...)... "For Gyumri" è il terzo disco pubblicato dal pianista ora 25enne su Nonesuch Records: un lavoro chiaramente ispirato ai suoi luoghi natali ma presentato da Tigran anche come "osservazioni musicali sul mondo in cui viviamo ora e sul peso della storia che portiamo con noi".

Il disco costituisce il seguito ideale di "An Ancient Observer" (2017) e contiene cinque composizioni per solo pianoforte scritte da Tigran in quello stile indistinguibile considerato "meticcio" perché mette assieme la musica jazz e la musica tradizionale armena: un aspetto che è centrale nella visione di questo artista sin da quando era ragazzino. Ma è bene non cadere in errore e non considerare questo disco come qualche cosa di troppo lontano dagli schemi più classici del genere: Tigran è un artista di grande inventiva e che si muove in una maniera oscillatoria dentro gli schemi di un genere comunque vasto come il jazz, letteralmente plasmando la propria musica come se questa fosse argilla. Accostato anche la precocità a Brad Mehldau, le sue composizioni sono eseguite con una certa elasticità e un certo virtuosismo che in determinati attacchi egli sembra quasi tenere a bada con difficoltà.

Considerato un giovane artista visionario e anche in qualche modo idealista, se Tigran Hamasyan sia un fenomeno musicale oppure mediatico questo non lo so. Però questo disco è una vera e propria sfida che questo giovane pianista lancia in un vero e proprio contesto neo-classico (invece che derivato dal jazz americano) e i cui toni sono effettivamente carichi di quel pathos umano e più viscerale già richiamato, un peso che per quanto giovane, Tigran dimostra di sapere reggere sulle sue spalle già esperte.

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