Per chi ancora non lo conoscesse (eventualità più che probabile), è doveroso spendere un paio di parole sull'artista. Tim Buckley è senza dubbio uno tra i più importanti musicisti della fine degli anni '60 e, probabilmente, il miglior cantante rock di sempre. Ad una estensione vocale eccezionale, abbinava una tecnica straordinaria ed una interpretazione sofferta ed intensa.
Spesso le antologie non raccolgono il meglio della produzione artistica di un cantante o di un gruppo. Anche in questo caso, si poteva fare di meglio. C'è comunque da riconoscere, perlomeno, che si tratta di un'antologia rappresentativa, in quanto vengono proposti brani di tutta la sua carriera artistica (dei 9 album in studio e dei 2 più famosi live).
Dal primo album sono tratti i primi 5 brani, nell'ordine "Wings", "She is", "Song Slowly Song", "It Happens Every Time" e "Aren't You the Girl". Sono brani tipicamente folk, con liriche ancora "adolescenziali", in cui la voce appare timida (rispetto alle esibizioni future). La canzone più interessante (e l'unica da ricordare, a mio avviso) è sicuramente "Wings", notevole sia per melodia che per arrangiamento. Peccato che non siano presenti nell'antologia le pur belle "Song of the magician" e "Valentine Melody".
Dal secondo album sono tratte l'angosciante "Pleseant Street", la visionaria "Hallucinations", la drammatica "No Man Can Find the War", le più classiche "Once I was" e "Morning Glory" ed infine la lunga e psichedelica "Goodbye and Hello". Album dall'arrangiamento forse eccessivamente barocco, contiene alcune tra le migliori composizioni di Buckley, che rimangono (ancora) nella canonica forma canzone (a parte "Goodbye and Hello"). Peccato solo l'assenza di "Phantasmagoria in two", la mia canzone preferita di Buckley, che verrà comunque proposta nell'antologia in versione live.
Da "Happy Sad" vengono riproposte l'ariosa "Buzzin' Fly", la jazzata "Strange Feelin'" e la celebre "Sing a Song for You". Non vengono inserite nell'antologia le tre prove più sperimentali dell'album, giudicate forse troppo difficili per un easy listening. A mio avviso si tratta dell'album migliore dell'artista, in cui ha trovato il massimo equilibrio tra tecnica, melodia e avanguardia.
Dal live in London del 1968 sono tratte la già citata "Phantasmagoria in Two" e i due inediti "I've Been out Walking" e "Troubadour". Il contesto live e, soprattutto, la semplicità dell'accompagnamento, fa emergere l'unicità della voce di Buckley. Anche in questo caso, è davvero un peccato che non siano presenti il medley "Pleasant Street" - "You keep me hangin' on" e la sognante cover "Dolphins" di Fred Neil.
Il secondo cd si apre con ben sei brani di "Blue Afternoon": le melodiche "Happy Time" e "I Must Have Been Blind", le tristissime "Chase the Blues Away" e "River", le jazzate "So Lonely" e "Blue Melody". L'umore delle canzoni è in generale più triste e malinconicamente vuoto rispetto agli album precedenti, ma non raggiunge ancora la depressione dei prossimi dischi.
"I Had a Talk with My Woman" è tratto dal live at The Troubadour del 1969. Il brano viene ripreso anche nel successive album in studio "Lorca", vero e proprio manifesto della depressione umana. Il brano in questione è comunque il meno triste del lotto, e sicuramente l'unico che conserva il formato canzone. Da brivido l'interpretazione di Buckley (specialmente nella parte fischiettata).
Da "Starsailor", considerato da molti il suo capolavoro, vengono pescati la scanzonata non-sense "Moulin Rouge", l'onirica "Song to the Siren" e la dura "Monterey". In questo album, il più sperimentale insieme al precedente "Lorca", la voce di Buckley disegna voli liberi e si fa vero e proprio strumento musicale. Per ovvi motivi commerciali non sono comprese nell'antologia gli altri brani di "Starsailor", a partire dalla spiazzante title track per arrivare alla funky-jazz (?!) "Down by the Bordeline".
Giunto all'apice della sua carriera, Buckley, umiliato dal mancato successo commerciale e sconvolto dalla droga, cambia radicalmente genere musicale e, di fatto, termina di la sua carriera di artista. Pubblica tre album, uno peggiore dell'altro, che nella raccolta sono rappresentati dalle ritmate "Sweet Surrender", "Hong Kong Bar" e "Make It Right", dalla pur apprezzabile "Sally Go 'Round the Roses" e dall'insipida "Who Could Deny You". Se proprio avessi dovuto scegliere qualche canzone degli ultimi tre album avrei scelto "Get On Top" e "Devil Eyes" da "L.A." e le cover "Martha" (di Tom Waits) e "Dolphins" da "Sefronia", mentre avrei fatto finta che l'utimo album "Look at the Fool" non fosse mai stato pubblicato...
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