Giunge al quinto episodio l’avventura solista di Tim Burgess dei Charlatans.
Si tratta, a differenza dei lavori precedenti, del primo vero e proprio disco solista in tutto e per tutto del capelluto frontman, che ha composto tutti i brani in campagna (Norfolk) con la sua fedele chitarra acustica (nei dischi precedenti si era sempre servito di numerosi collaboratori, come ad esempio Kurt Wagner dei Lambchop, Peter Gordon, Debbie Googe e altri).
Ormai ultracinquantenne, il buon Tim si è sempre tenuto occupato tra i progetti più disparati: proprietario di un’etichetta discografica (la “O Genesis”), coordinatore degli ormai popolari ed imperdibili #timstwitterlisteningparty (spesso ricchi di ospiti di spessore) e anche scrittore. Insomma, mai domo.
Il nuovo album “I Love The New Sky” è, quindi, quintessenzialmente “burgessiano”; alla chitarra troviamo il fido Mark Collins, compagno di avventure anche nei Charlatans, mentre Daniel O’ Sullivan (Grumbling Fur) suona batteria e piano, oltre a produrre. Burgess si posiziona dichiaratamente in una terra di nessuno tra il Paul McCartney di “RAM” e il Brian Eno di “Taking Tiger Mountain (By Strategy)”, confezionando un disco che alla fin fine risulta tra le cose migliori e più ispirate della sua ormai lunga e fulgida carriera.
Aperto dal singolo “Empathy For The Devil”, che oltre ad evocare gli Stones nel titolo cita evidentemente “Boys Don’t Cry” nella cristallina intro di chitarra, il nuovo lavoro è un’autentica fucina di idee ed atmosfere che vanno a fondersi perfettamente in un sound al tempo stesso classico e fresco. Burgess è in formissima e propone una dopo l’altra alcune tra le sue melodie più riuscite di sempre, come la splendida “Sweetheart Mercury” o “Warhol Me”, quest’ultima in palese territorio Bowie.
In alcuni episodi, il vecchio Tim dimostra di avere un occhio di riguardo per le nuove generazioni, dalle quali prende umilmente spunto: il secondo estratto “The Mall” (pezzo pazzesco, uno dei migliori usciti quest’anno) si avvicina molto ai discussi Arctic Monkeys di “Tranquility Base”, così come “Comme D’Habitude” scava più indietro e va ad omaggiare i mostri sacri Sparks.
Insomma, un signor disco, che consacra una figura finora sin troppo sottovalutata del rock d’oltremanica. E’ ora di dare a Tim Burgess quello che spetta a Tim Burgess.
Brano migliore: Sweetheart Mercury
Carico i commenti... con calma