Compare sul palco, timido e silenzioso, e non perde tempo in convenevoli se non un leggero inchino dinanzi agli spettatori. Un suo gesto, e la sala è immersa nel buio. La magia può cominciare.
Difficile raccontare a parole un'esibizione di Tim Hecker, ogni parola perde il proprio significato o non rende giustizia a ciò che pretende di descrivere. Hecker è la natura. Hecker è l'industria. Hecker è la sacralità. Il verde ed il grigio che si uniscono in modo spirituale e a tratti romantico. L'ascoltatore è proiettato in un intensissimo vortice di suoni disarmonici e destrutturati, un muro su cui sbatterà più volte la faccia, mai violentemente, quasi con dolcezza, per poi trovare sollievo tramite limpide e fluttuanti note di sintetizzatore. Note che faranno nuovamente spazio a rumori, distorsioni e confusione. Tim crea, Tim distrugge. Un'atmosfera fredda, gelida, tocca e paradossalmente scalda le corde dell'animo dell'ascoltatore, che viene accompagnato per un viaggio sonoro imaginifico, permeato da un assoluto senso di libertà ed infinito.
Lo spettacolo, durato circa un'ora, si è basato interamente sul nuovo album "Virgins", eseguito in toto. Al termine della performance il pubblico rimane frastornato, sia dall'esperienza in sé, sia dai decibel oltre il livello di guardia, tanto che in pochi riescono a percepire le parole di congedo di Tim. Uno scroscio di applausi, e il sogno finisce.
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