Nel 1994 i Timoria dopo una lunga gavetta venivano dal trionfale "Viaggio Senza Vento" ed erano la rock band italiana più popolare e in vista, secondi probabilmente solo a Litfiba e CSI, tra il novembre di quell'anno e il gennaio del successivo entrarono in studio e realizzarono il loro vertice assoluto: "2020 Speedball". Anche se quasi tutti descrivono l'illustre predecessore come il loro personale capolavoro, probabilmente soprattutto per il suo concept lirico, questo loro quinto album (senza contare ep e demo) si presenta come il loro lavoro migliore musicalmente, almeno secondo chi scrive.
Questa volta non c'è nessun concept nelle liriche, e gli effetti si sentono subito nella prima traccia, o seconda se si considera l'inutile intro, "2020": il testo è molto diretto ed esplicito e non troppo impegnato, diciamo così: "Voglio bruciare la voglia che è dentro di me 2020 volte, finchè avrò forza per fare l'amore con te, 2020 stai con me, stai con me". Musicalmente è sicuramente una delle più dure del disco, ottima; le successive "Brain Machine" e "Senza Far Rumore" sono mediocri: la prima ha un buon riff ma nel complesso appare abbastanza insufficente, la seconda invece è troppo melodica e anche il testo non è il massimo: "Ma se conosci l'amore, ovunque andrai ricordati di me, sai, è più grande del mare, ovunque andrai ti sopravviverà". Ora però con "Speedball" abbiamo la prima vera perla, ed è una perla autentica: puro hard rock su un testo dichiaratamente contro le droghe ma che esprime comunque ribellione e un disperato desiderio d'evasione: "Vivere, morire in fretta, datemi la via d'uscita", roba da classic rock anni 60. Da sottolineare Renga, al suo meglio in questo brano.
"Dancin' Queen" è il brano più controverso, già dal titolo che evoca gli Abba non promette niente di buono, alla fine si rivela un onesto dance rock, comunque apprezzabile per coraggio, contribuisce se non altro alla varietà del lavoro, anche se personalmente ne avrei anche fatto a meno. Su "Sudamerica" poco da dire, un altra perla assuluta dopo "Speedball": un testo fantastico dedicato al "paese sacro violentato": "Io percorrerò le strade del bandito, amato dalla gente ucciso dallo stato", un inno, anche musicalmente una delle migliori in assoluto di tutta la discografia della band. Con "Week End" si torna più in basso con un brano decisamente risparmiabile; da ora in poi però non si sbaglierà (quasi) più: la santaniana "Duna Connection" introduce alla strepitosa "Europa 3" che parte con il famoso intro simil "Shine On", si fa poi ottima ballad per esplodere nel suggestivo violentissimo delirio finale: "Su una stella nuova per ritrovare quello che quì non c'è: mai più vita, mai più amore", tensione e violenza alle stelle, si candida prepotentemente come migliore traccia.
Anche la successiva "Mi Manca L'aria" però non scherza affatto: un violentissimo pezzo con il Renga che non ti aspetti, almeno per chi lo ha conosciuto (purtroppo) negli anni 2000, ovvero con un inedito canto growl stile death metal, anche se ovviamente lontano dal vero growl dei maestri come Shoudiner o Becerra, ma quello ovviamente non è il suo genere; grandioso anche il controcanto del leader Pedrini: "Uomini senza anima, la poesia è morta ormai, musica, fiori di plastica... morirò? Mi manca l'aria". "Via Padana Superiore": capolavoro del grande Omar Pedrini, autentico deus ex machina del progetto, che canta in questa stupenda ballata intrisa di malinconia e tristezza: "Sale la nebbia, sale nei miei occhi, lei dorme e sembra rida un pò/ Continuerà ad amare un uomo finito? Non ho più niente da raccontare ormai". Senza parole.
"No Money No Love" è un altro intermezzo, si può discutere sull'utilità di questi mini pezzi, sta di fatto che anche in questo caso come la precedente "Duna Connection" il risultato è un godibilissimo pezzetto con influenze blues e funk; siamo ora introdotti agli ultimi 2 capolavori: "Guru" e soprattutto il magnifico viaggio epico di "Boccadoro", in particolare quest'ultimo è la prova definitiva della grandezza e della varietà di questo lavoro, tra i tanti grandi pezzi forse prorpio questo risulta alla fine il migliore di tutti, almeno secondo me, in grande spolvero l'ottimo Enrico Ghedi alle tastiere. L'inutile riempitivo "Fare I Duri Costa Caro" e l'ottima anche se non straordiaria "Fino In Fondo" chiudono questo grande disco, come ho detto all'inizio senz'altro il vertice del gruppo bresciano, senza nulla togliere ad altri ottimi album del gruppo.
Alla fine tutto sommato non un capolavoro assoluto, ma sicuramente un grande album, il più duro e vario del gruppo, che mi sento di consigliare a chi ancora non lo conoscesse. Prima che Renga fecesse lo stronzo con Pedrini e si vendesse totalmente senza pudore alcuno, prima delle varie vicessitudini e disgrazie allo stesso Omar e al grande Illorca, i timoria al loro meglio con uno dei vertici anche del rock italiano in generale negli anni 90, gli ultimi fertili per il rock.
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