Diciamocela tutta, fino a qualche annetto fa, pretendere di suonare autentico rock in Italia era un po’ come pretendere di sentir la pizzica nelle piazze di Bolzano. Eccezion fatta per i Litfiba, era difficile andare oltre Battisti e vendere anche un solo disco. Ed i Timoria hanno avuto la sforuna di comparire definitivamente sui massmedia (dimenticandoci con piacere della loro uscita a San Remo nei primi anni ottanta) nel loro momento più artisticamente travagliato. Ricordo anche, che dopo l’uscita di questo album, andai a vedere i Timo in concerto. Ero completamente ignaro del cambio di line up che si era verificato in seno alla band. Ne trassi due conclusioni opposte. Innanzitutto, che Francesco Renga è un ottimo cantante, nonostante la sua triste decisione di abbandonare ed entrare nel magico mondo della musica leggera italiana, dava l’anima ai pezzi. Mi consolo pensando che in questo modo, quanto meno, ha raggiunto la notorietà che meritava. Poi, che Omar Pedrini non deve assolutamente cantare. Una campana a festa sarebbe più intonata.

“Eta-Beta” è l’ultimo album dove figura il bravissimo singer friulano. Non siamo ai livelli di “Viaggio Senza Vento”, ma questo disco si ascolta senza dubbio con piacere. Dodici pezzi ed una cover ben suonati, molto orecchiabili come sempre (d’altronde, ricordiamo che sono anche partiti dal pop), liriche mai troppo banali e suoni che, considerando l’epoca ed il budget della band, potremmo definire tutt’altro che monocordi. Si parte con “Sono Qui”: strofe ritmate, larghi e coinvolgenti ritornelli. “Faccia Da Rockstar”, pezzo per il quale ammetto di nutrire una particolare affezione, ci racconta delle vicissitudini di un povero guascone alle prese con la sua Yoko Ono. In realtà trattasi di un brano senza particolari pretese, ma di sicura presa. Della stessa razza “L’Isola Del Tempo” e “Bella Bambola”. Toni più gravi in “Il Giardino Di Daria”, in cui chitarre elettriche ed acustiche segnano il passo degli archi, che ogni tanto fanno capolino a dare intensità al pezzo. “Cerco Di Te” ci regala pure atmosfere intense, precisando che comunque non si tratta di un disco di De Andrè (non sia mai). Belle pure le idee di “Alleluia” in cui vengono sfoderati riffoni e sleppate ai limiti del metal, bello il contrasto di queste strofe aggressive col ritornello melodico. Sorvolo sugli episodi un po’ più “trendaioli” dell’ album: vista l’avversione del recensore per il reggae e l’hip hop tutto, meglio non esprimere giudizi.

In definitiva “Eta-Beta” non entrerà nella storia di un genere, ma vale senza dubbio la pena procurarselo se si apprezza anche il rock made in Italy.

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