La recensione non c'è

Vorrei davvero che le mie parole potessero avere la magia di raccontare la musica, ma so, anzi ho sempre saputo che così non è e non sarà mai. Perché nonostante suonino, le parole non sono musica e possono solo illuderci di imitarne l'essenza. Allora i mille vocaboli che posso combinare per descrivere questo disco saranno sempre un inganno. Inganno divenuto ai miei occhi palese quando ho riletto i termini, che l'ascolto mi regalava, caduti a caso su un foglio bianco, come foglie secche sul selciato.

 

 

ricordo,
solitudine,
nostalgia,
fluire, diradamenti
esile, dolce, spleen, amaro, clarinetto,
rischiara,
sospensioni, visioni.


Folk, sentimento, pianoforte, arpa, penombra, est, tango, tempo, lirico
banjo, meditazione, classica, chitarra,
anima, vibrazione
carezza, dilatato, ambra
linea, kletzmer, violino, navigazione, sensibile, incantatore,
nebbia.

Fiato, alba,
soffice, attimi, corde, immaginazione, attese,
lacrime, notte,
evocazione,
melodia, sogno...

Ho calpestato queste foglie, queste parole che d'istinto piovevano dalla mente senza riuscire a decifrare del tutto le sensazioni della musica. Così alla fine ho pensato di non raccontarvi il disco, ma come l'ho scoperto e cosa mi ha fatto scoprire.

Quando per la prima volta ho messo questo cd nel mio lettore, senza avere la più pallida idea di ciò che ne sarebbe uscito, ero alla ricerca di una scossa adrenalinica che mi scuotesse dall'inatteso torpore di questa primavera. Però il desiderio di musica è regolato talvolta da una sconosciuta incertezza del proprio essere. Ciò che è accaduto me lo conferma. I pochi secondi del primo brano ("Old World") mi hanno fatto comprendere immediatamente che avrei trovato risposte che in apparenza non cercavo. Un'atmosfera malinconica, densa di sfumature in chiaroscuro che colpivano nel profondo. Un violino dispiegato in un fraseggio amaro, che mi faceva immaginare i Penguin Café Orchestra immersi nell'oscurità. Un'emotività meditata al crepuscolo.
Ma se non era quello che cercavo perché non riuscivo più a staccarmi dall'ascolto? Vorrei potervelo dire, ma non lo so. So solo che è proseguito senza sosta prima per ore poi per giorni, seguendo il flusso di note nella bellezza di suoni acustici in grado di sospendere la percezione del tempo. Cullato dalle luci rarefatte della chitarra, ondeggiando tra trame incantatrici di tromba, clarinetto e violino, una dolce ipnosi mi ha trascinato in un mondo vellutato, nostalgico e intimo di musica strumentale. Un mondo che so di non saper comunicare.

Sperando, o forse illudendomi, di trovare le parole per farlo sono andato alla ricerca di notizie sul gruppo, apprendendo che la sigla Tin Hat nascondeva inizialmente un trio ed ora i nomi di Ara Anderson (tromba, corno, piano, organo a canne, celeste), Ben Goldberg (clarinetto), Zeena Perkins (arpa), Mark Orton (chitarra, dobro, banjo, piano, organo a canne, organetto, grancassa, basso), Carla Kihlstead (violino, viola tromba, voce, piano, celeste, vibrafono, basso, armonica). Mille notizie, certamente utili, che però non mi aiutavano a superare l'impasse di una descrizione che non arrivava. Ben più interessante è stata la scoperta che questo disco è stato ispirato dall'opera di Bruno Schulz, scrittore polacco ucciso a Varsavia da soldati nazisti. Non conoscevo Schulz, così ho iniziato a leggere un suo libro stupendo, trovando in un racconto e con mia somma sorpresa queste parole:

"A quell'ora tarda restano talvolta ancora aperte alcune di quelle botteghe singolari e tanto attraenti di cui ci si dimentica nei giorni comuni. Io le chiamerei botteghe di cannella, dal colore delle brune boiseries che le rivestono. Quei negozi così nobili, ancora aperti a notte inoltrata, erano sempre stati oggetti di fervidi sogni. Fiocamente illuminati, scuri e solenni, i loro interni odoravano intensamente di vernici, lacca, incenso, aromi di terre lontane e merci rare." (Bruno Schulz: Le botteghe color cannella - Einaudi)

Una folgorazione! Che sensazione stupenda ritrovare intatte tutte le sensazioni del disco nella lettura di poche parole, che forse ne sono state in parte motivo ispiratore. Allora ho capito che se è pur vero che le parole non possono imitare la musica, ciò non toglie che la musica possa imitare le parole, donando il senso ancestrale del loro significato. Lascio a voi ora che l'ascolto ve ne faccia scoprire o immaginare di nuove e quanto le mie inadatte a descrivere ogni sensazione che potrebbe regalarvi.

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