Generalmente preferisco evitare di recensire dischi musicali, anche per non incappare in qualche autore malvisto da eventuali seguaci accaniti di rock o metal, però il disco in questione, nonostante non possa dire di esserne particolarmente colpito – non si tratta in fondo di qualcosa che risalta notevolmente rispetto ad altre uscite alternative - mi è parso comunque abbastanza gradevole da fare un eccezione.
Si tratta del lavoro più recente (il quarto) risalente al 2009, di Jesy Fontino, trentenne di Seattle, di cui non conosco null’altro, ma pare che abbia avuto trascorsi più accessibili o pop in passato, e che invece si propone qui con un lavoro essenziale di chitarra e voce, che sa un po’ dell’ultimo disco solista di Eddie Vedder, esprimendosi attraverso di una poetica quasi liturgica e discreta, che lascia spazio a un passaggio cupo una tantum, qualche distorsione, tastiere scarne come in ‘Young God’ o la conclusiva ‘outside’. Ma per lo più sono arpeggi melanconici a fornire il background delle liriche empatiche. Sebbene non particolarmente articolato o calibrato sul piano melodico, se non ancora per 'Outside', ogni verso emerge come trascinato e sospeso nell’etere, con pronuncia troncata tanto da domandarsi cosa la renda così triste, ma del resto non sono l’allegria impersonata neanche io. La tracklist è abbastanza elusiva, dato che in realtà non si capisce bene dove inizino o terminino alcuni brani, o dove taluni vengano ripresi nell'arco dei 60 minuti.
Seppur con un risvolto in toto, come detto, meritevole. Un timbro lontano da qualsiasi velleità, che solo in qualche passaggio mi ha ricordato la Morissette. C’è poi un’importante vena folk nel suo lavoro, un po’ discrepante rispetto ai suoi natali, ma tant’è. E soprattutto la sua musica ha una bella striatura rilassante ed emotiva che mi ha portato ad apprezzare il disco in questione, e che conseguentemente mi permetto di consigliare in questa sede.
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