Prende sempre più forza l'idea che nell'era dell'accesso conti soprattutto la capacità di scegliere. Quando il materiale diventa tantissimo e facilissimo da trovare il creare diventa scegliere un metodo. L'autore agisce come un demiurgo tra quello che c'è e quello che ci sarà, in certi casi l'autore scompare sostituito dal metodo. Per dire Wikipedia, Wikileaks, la comunità di comici di Spinoza raccolgono, dibattono, pubblicano materiale selezionato da qualcuno. Lo stesso DeBaser per certi aspetti funziona così. In ambito di produzione musicale un autentico fuoriclasse porta il nome di Tipper.

Classe 1976 David Tipper inizia a disegnare suoni a 16 anni in piena epoca rave, lasciando ben presto un segno indelebile nella cultura dei club. Dj, compositore, produttore, Tipper disegna musica per spot, sigle e dischi che definiscono generi. Il Breakbeat con "The Critical Path", il Downtempo con "Surrounded" o addirittura ibridi tra Hip Hop e Glitcherie assortite (Tip Hop e Relish the Trough). Le etichette dicono poco quel che importa, abbiamo visto, è creare il metodo. Tipper lo trova, in una marea di suoni digitali. Tipper taglia, incolla, assembla, sceglie e produce. Lo fa con freschezza, originalità e capacità di emozionare.

Nella scena elettronica soprattutto britannica la sua poetica diventa materia stimolante per personaggi come Goldie, Squarepusher, Amon Tobin o LTJ Bukem. Resta un mistero che cotanta intelligenza compositiva non abbia incontrato il meritato riscontro del pubblico, e che il nostro sia tuttora un autore di culto, definizione che nulla toglie al suo stratosferico talento. Dal 2005 David fonda la Tippermusic e continua ad affinare il suo metodo con alterne fortune fino ad arrivare a questo decimo, sorprendente, disco. Sorprendente per la riuscita alchimia tra suoni della tradizione indiana (tabula, sitar) e della modernità occidentale (i "breaks & beats" cui è maestro), assemblati su un tappeto ambient/downtempo.

L'impressione è quella di viaggiare attraverso oceani di suoni dove le risonanze fanno parte del bagaglio culturale dell'ascoltatore. E' come se quello che c'era (che abbiamo ascoltato) ciascuno a suo modo (musica indiana, exotica, downtempo, ambient, elettronica) torna a risuonarci in una forma organica, nuova e amichevole. Quella forma che candida "Broken Soul Jamboree" ad essere uno dei più credibili semi sonori d'inizio decade.

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