"…When i sing
I'm not a singer
And when i dance
I ain't a dancer
When i cry
I'm not a cryer
And when i lie
I ain't a liar…"
Ascoltando il primo estratto "Come Out Clean" di "Into The Darkness" dei Tito & Tarantula mi vengono in mente Whisky, sigari ed una mustang nera del 67 che corre all’impazzata inseguita da una infinità di volanti, lungo quelle interminabili strade che tagliano il deserto come squarci che segnano l’avanzare dell’uomo bianco, portatore di mediocrità e borghesia nel vano tentativo di civilizzare quelle terre selvagge, predatrici e puttane nella la loro apparente immobilità… Mortali.
Uno splendido disco in cui tutto si muove suadente, in quel morso psichedelico nato da quel dannato di Steven Medina Hufsteter e la sua chitarra, velenosa come uno scorpione, nascosto a riparo dal sole in quel deserto infuocato, pronta a colpire e sperimentarsi in un sound caldo e pieno, di estrazione tipicamente blues che sa mescolarsi in un insano e innovativo psichedelic acid rock, delirante e visionario.
Un sound perso in una lisergica necessità di estirpare nuove sonorità a quelle terre desolate che imparano presto a sporcarsi di quei suoni a tratti metal, proprio come farebbero un paio di stivali impattando con la terra del deserto.
Tredici tracce in un disco, non sono poche, e pensare che queste siano tutte dei capolavori e ancora più stupido, ma questo disco lascia il segno, non ci sono fottute tracce del cazzo che dici, “questa se la potevano infilare nel culo”, scusate il linguaggio scurrile ma sono appena sceso dalla mustang, ma ribadisco che quest’album è una botta cazzo!!
La voce di Tito sembra quella di uno che ha appena finito di scolarsi una bottiglia di Tequila e, arrochita da un intero pacchetto di Marlboro rosse, intona una voce sorda e velata, come a voler ammorbidire le dure asperità selvagge di Hufsteter.
A mio avviso spiccano le nostalgiche e suggestive "Pretty Wasted", "Like I Do" a tratti così dannatamente Hendrixiane a ricordare quei tramonti rosso porpora che caldeggiano i Grand Canyons del Colorado.
Le psichedeliche "Dust And Ashes", "The End Of Everything", "Machete" e "In My Car", dettate da uno psichedelic acid rock impervio sporcato da un metal, così orograficamente fuori luogo e lontano dalla nostra realtà, fatta di concezioni sociali edoniste, che non troverebbe spazio neanche a pagarlo.
Se credevate che questi signori, padroni di un deserto lontano dai clichè commerciali fatti di lounge bar puliti e molto (troppo) trendy-very-funky, fossero sepolti con un film di Tarantino, bhe! vi sbagliavate.
L’album, vicino ad essere una perla, contraddistinto peraltro da una ballad di chiusura, a dir poco splendida, "Not Enough" (non avrei parole per descriverla vi chiedo solo di ascoltarla…), presenta una band matura che ha le palle di guardare in faccia il mainstream, senza squagliarsi al sole, come farebbe una qualsiasi band saltata agli onori solo perchè congiunta ad un cult-movie... Auguri!
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