Nel 1972 i Toad pubblicavano il loro secondo album, Tomorrow Blue. Il gruppo, a differenza del primo disco, era ora composto da soli tre musicisti, in seguito all'abbandono del cantante, sostituito degnamente dal già chitarrista Vic Vergeat.
Soprattutto a causa di questa defezione, nel sound della band si troveranno ora più momenti solistici, in particolare diverse cavalcate chitarristiche. Nell'insieme, comunque, la musica rimane senza alcun dubbio di livello, con delle striature progressive che nell'opera precedente non si potevano trovare. In alcune tracce, viene inoltre introdotto il violino, suonato da H. W. Lipsky.
Cominciamo con "Thoughts", canzone ricca di cambi di tempo che comincia con un tema musicale che si ripete per buona parte della canzone, ma sulla quale si sviluppano assoli di chitarra di ogni tipo, in cui si esprimono le doti di Vergeat.
Segue la title track "Tomorrow Blue", un blues elettrico la cui durata di 9 minuti lascia spazio a nuove scorrerie con la 6 corde del musicista italo-svizzero, in cui si evidenzia il suo stile, tagliente e fracassoso. Nel finale ripresa del cantato (in inglese, come sempre), piuttosto spavaldo e riconoscibile.
Segue "Blind Chapman' s Tales", senz'altro una delle tracce migliori del disco, molto rilassata, con chitarra classica e violino, che raggiunge il suo apice nella parte centrale in cui possiamo trovare un ottima divagazione strumentale. Evocativa anche la voce che si adatta alle atmosfere.
Tocca poi a "Vampires", altro ottimo pezzo, un misto di hard rock e momenti pacati, e proprio su questa alternanza il gruppo gioca, con un finale inaspettato dove la canzone sfocia con un assolo breve (stranamente!) ma allo stesso tempo molto sentito, che trasmette emozioni anche all'ascoltatore. Il momento migliore per sublimare la canzone.
"No Need" è invece una traccia molto elettrica, la cui struttura è costantemente sostenuta dal riff hendrixiano che ne segna la cadenza. Nel mezzo, altre evoluzioni questa volta che spiccano per velocità. Apprezzabile, come sempre, anche la sezione ritmica.
Segue "Change In Time", il pezzo più lungo del disco con i suoi 12 minuti e mezzo. Nel complesso risulta variegato, con inizio hard e susseguenti divagazioni per confermare, se mai ce ne fosse stato bisogno, le capacità del chitarrista. Verso metà si può trovare un piacevole momento di riposo, con evocative parti di violino e chitarra, in stile classicheggiante. Tutto molto bello, prima dell'esplosione rumorista che riporta la canzone al motivo iniziale.
Chiude l'album "Three o' Clock In The Morning", che esula dalla musica sentita fino ad ora con un gradevole quanto breve motivetto di piano, suonato dal factotum Vic Vergeat.
Per concludere, altro ottimo disco per la band svizzera, pure questo rimasto intrappolato nei meandri del rock, che conferma quanto fatto nell'opera precedente. Gruppo da citare, tra i migliori europei non inglesi del genere.
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