Per recensire questa metal opera non posso che iniziare menzionandone l'illustre cast di cantanti e musicisti: Al microfono: Tobias Sammet; Michael Kiske; Kai Hansen; David DeFeis, André Matos, Bob Catley; Oliver Hartmann; Sharon Den Adel, Rob Rock; Ralf Zdiarstek. Strumentisti: Henjo Richter; Markus Grosskopf; Alex Holzwart, Eric Singer, Norman Meiritz; Frank Tischer; Timo Tolkki; Jens Ludwig.
La presenza dietro al microfono di alcuni tra i vocalist più inarrivabili della storia metal dovrebbe già di per sé far scattare l'acquisto automatico, nonostante l'assegnazione delle pertinenze sia iniqua: ad Hartmann non spettano più di due strofe, per altro sublimi, mentre all'ideatore del Concept (Tobias Sammet) spettano la stragrande maggioranza; senza volergli nulla togliere, lui è un mostro negli acuti, e non gliene sentiremo molti.
"The seven Angels" apre il disco con una lunga intro ecclesiasticica, alla quale sovvengono Hartmann, Kiske, Rob Rock, Sammet, Hansen e Matos. Nel sottofondo abbiamo anche degl'archi. Traccia spettacolare e testi ispiratissimi, protratta fino ad un quarto d'ora.
"No return" avvia la metrice power con basso e chitarra sfrenati, linee vocali trascinate, affidate a Sammet e Kiske, ritornello troppo assiduo.
"The looking glass" procede identica, alleggerita nel sottofondo, al microfono Sammet e Catley. Refrain ancora invadente. Buoni i passaggi chitarra solista.
"In quest for" riprende col piano, e sempre il duo Catley-Sammet, canzone lenta e belle le strofe. Il concept è sul tipo del "Signore degli anelli", con al posto dell'elfo un monaco, al posto dell'anello dei sigilli, noché nuance filosofica orientaleggiante.
"The final sacriface" avanza un metal più ruvido, finalmente strepitosa l'interpretazione di Sammet e bravino anche DeFeis (un po' gracchiante) traccia questa, a mio dire, migliore del disco.
Riprende il microfono Rob Rock su "Neverland", insieme all'onnipresente Sammet e cori. I cori poi sono ciò che fornisce un'impressione propria all'album, più ecclesiastico del classico power.
"Anywhere", secondo lento, molto ispirato nel refrain in rima, tratta temi quali la speranza, il futuro e l'amicizia.
Le tracce seguenti ripristinano il complesso collettivo al microfono (in cui debutta l'ottimo Zdiarstek, meno conosciuto, ma a mio dire il migliore) assieme alle alte frequenze.
L'ultima traccia presenta l'incantevole Sharon Den Adel per non più di una strofa (altro strafalcione di Sammet), mantenendo poi le coordinate.
Per tante ragioni questo disco dovrebbe essere sacro per gli amanti del metal, per altre no, fra cui, a mio avviso, sta la bassa marcatura negli avvicendamenti al microfono. È anche vero che alcuni di questi cantanti hanno un timbro molto simile, però chi ha ruolo di contralto non spicca particolarmente. Stesso problema che ha avuto il progetto Ayreon, sempre a mio giudizio. Ad ogni modo tanto di cappello a quasta opera di Sammet, che la buona volontà ce l'ha messa tutta, con discreto risultato.
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