Il panorama postcore/noisecore a metà degli anni '90, dopo un florido periodo di crescita, vede l'acme del suo sviluppo qualitativo con uscite di importanza capitale, basti pensare ai terremoti metafisici a nome Neurosis di "Enemy Of The Sun" e "Through Silver In Blood", allo sperimentalismo dei Fugazi di "Red Medicine", all'ultimo colpo di coda dei Jesus Lizard con "Down".
Ma il vero cuore della malattia si era spostato, ed era arrivato dalle parti di Nashville. Qui a partire dal '92 era in attività la nuova realtà Today Is The Day. Capitanati dalla testa caldissima del cantante-chitarrista-padre-padrone Steve Austin, uno che nella merda c'era stato davvero, fondevano in allegra eresia l'hardcore più rabbioso con strutture e complicazioni prog-rock e una spruzzata generosa di elettronica disturbante e isolazionista, creando di fatto un prototipo di intransigenza sonoro/attitudinale con pochi precedenti nella scena, e paragonabile solo ai sopra citati Neurosis, all'epoca altro gruppo in prepotente ascesa. Ma mentre nella musica dei Neurosis si riusciva a cogliere una pur sopraffatta componente razionale a dettare le regole della narrazione di un'apocalisse, nei Today Is The Day si riesce a vedere solo il dolore, la frustrazione, il tormento di un uomo, lasciato da solo a parlare con la sua mente. I Neurosis stanno alla psicosi di massa come i Today Is The Day a quella dell'individuo.
Il gruppo di Nashville arriva al suo album omonimo dopo una rivoluzione della formazione originaria del gruppo: fuori il bassista Mike Herrel, al suo posto Scott Wexton a occuparsi dei campionamenti, rimane invece il batterista Brad Elrod, anima ritmica del gruppo. Il suono dell'ensemble si adatta sui cambi della line up, con un utilizzo dell'elettronica ancor più massiccio e disturbante, quasi a voler riempire al posto di quel basso che non c'è, con la chitarra di Austin sempre più figlia di Robert Fripp e delle sue complicazioni e con un netto miglioramento tecnico del già ottimo Elrod, oramai autentica piovra dietro le pelli.
Pressochè inutile tracciare un track by track dell'album, ci troviamo di fronte ad un'opera di una omogeneità stupefacente, in cui nulla appare fuori posto, mi sento solo di segnalare l'apertura-shock di "Kai Piranha", con quelle voci pulite che riportano direttamente al precedente capolavoro della band "Willpower" datato '94, la terrificante "Realization", con alcuni dei riff più malati della loro carriera, e "Bugs Death March", che rimarrà uno dei loro cavalli di battaglia. Ma ripeto, nessuna canzone è mero riempitivo, l'album, anche se breve (solo 35 mnuti scarsi, pochi se paragonati alle opere "wagneriane" che la band sfornerà successivamente) è completo, non pesa minimamente all'ascolto, e non presenta momenti morti di sorta.
Quest'album non è il capolavoro dei Today Is The Day, quello a mio avviso rimane "Temple Of The Morning Star", di poco sopra al sovrumano "Sadness Will Prevail" e allo straziante "Willpower", ma segna una tappa fondamentale nell'evoluzione sonora del progetto. Un album sfortunato insomma, stretto nella morsa del capolavoro precedente e del successivo, ma assolutamente da riscoprire se siete amanti di musica estrema, e assolutamente da avere se siete appassionati del genere.
il voto è approssimato per difetto proprio perchè è leggermente inferiore agli album succitati, il mio voto è un ottimo 4.5
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