[Contiene anticipazioni]
Tutta la lunga prima parte di Carol, quella che porta alla notte di passione tra le due protagoniste, potrebbe sembrare povera di contenuti. Invece è proprio in questa arcata narrativa che Haynes costruisce gran parte della bellezza del film. Complici preziosissime sono le attrici, ma l’occhio del regista lavora con sapiente precisione e permette ai dettagli più lievi di emergere e fissarsi all’attenzione dello spettatore. Una mano appoggiata sulla spalla per qualche secondo in più del normale, uno sguardo curioso, un gesto di timidezza. Tutte le sfumature dei comportamenti vengono rese evidenti con un nitore e una grazia davvero encomiabili. Lo sguardo dietro la cinepresa è indagatore ma sempre garbato, raffinatissimo ma intimo. In questi splendidi minuti di cinema sembra quasi di vedere le emozioni che vibrano nell’animo di Carol o in quello di Therese.
La struttura narrativa è altrettanto efficace. Prolungando di molto la fase di lento avvicinamento delle due donne, lo spettatore arriva al momento in cui esplode la passione tra le due avendo fatto quasi un viaggio insieme a loro. Questo dà credibilità allo sbocciare dell’amore, che arriva solo dopo infiniti sguardi, gesti, parole, regali, carezze. Haynes fa aspettare molto il pubblico e vince la sua scommessa da questo punto di vista. La sequenza di sesso esplicito è una soltanto e si posiziona come chiave di volta del film, come diamante incastonato nel cuore di tutta l’architettura filmica. È una sequenza di un’intensità meravigliosa, resa ancor più efficace dal successivo accostamento con uno dei momenti più drammatici della vicenda, quando Carol scopre che il marito la stava facendo spiare.
Di conseguenza, il finale del film è un lento calare della tensione, un ripiegarsi su se stesso, ma porta con sé almeno due momenti preziosi. Quello in cui Carol ammette di fronte al giudice di aver instaurato una relazione con Therese per sua deliberata volontà e quello in cui assistiamo per la seconda volta all’incontro tra le due dopo mesi di distanza. Haynes ci mostra nuovamente la sequenza iniziale, ma questa volta da un punto di vista interno alla vicenda. Questo è un espediente per raffigurare la differenza tra un giudizio esteriore, privo di empatia, ed uno invece partecipe dei sentimenti delle due donne. Se alla prima visione lo spettatore resta indifferente (non sapendo nulla delle due), alla seconda le emozioni sono fortissime e amare. Questo per suggerire che gli esseri umani sono tutti contenitori vuoti, se non se ne conoscono i contenuti emotivi.
Questa piccola lezione quasi nascosta fa il paio con l’altro tema “politico” del film: l’idea assurda che avere una relazione omosessuale sia immorale. Anche qui il regista non si sofferma in modo esplicito sulla questione ed evita prediche inutili, data l’ovvietà della cosa ad giorno d’oggi. È troppo ovvio l’errore di quella società per doverlo spiegare. Ha molto più senso raccontare allora le evoluzioni dei personaggi: Carol, donna di carattere, vive questo amore come una fuga dalla sua vita infelice. Therese, ragazza che non sa cosa vuole, fa di questa esperienza una lezione per maturare e diventare più sicura di sé. Finita l’avventura, sembra che a Carol resti solo l’infelicità di una famiglia a pezzi, mentre a Therese si spalanchino le porte verso una carriera luminosa. L’iniziale «No» della giovane alla proposta di convivenza di Carol sembrava far chiudere la vicenda in questo modo; il finale invece ribalta la decisione di Therese e costituisce un lieto fine che è probabilmente l’unica pecca del film. Si rischia di far dimenticare allo spettatore le conseguenze dell’amore saffico sulla vita di Carol, che potrà vedere la figlia solo in rare occasioni.
Per il resto, davvero un’opera armonica, delicata, perfetta in ogni dettaglio. Fotografia leggermente punteggiata (migliore di quella dell’ultimo Spielberg), colori pastello anni ’50, dialoghi naturali ma sempre significativi. In generale il film è semplice nel suo andamento, ma spesso foriero di significati ulteriori, di proiezioni emozionali che vanno oltre l’oggettività degli accadimenti. In questo senso Haynes ha saputo creare un feeling, uno sentimento che permea le sequenze: come una malinconia, una voglia di trovare la felicità. I sentimenti di Carol e Therese vivono in questo stile così emotivamente fertile.
Superfluo dire qualcosa su Cate Blanchett; sorprendente invece Rooney Mara in un ruolo a lei poco consono. I suoi sguardi malinconici, le sue insicurezze, i suoi gesti sono di una bellezza rara. Il regista le dà lo spazio che merita con tantissimi primi piani splendidi.
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