Tipo il Taxi Driver della generazione Marvel, ma un Taxi Driver con molte ingenuità. Scrittura non particolarmente raffinata, sicuramente messa in secondo piano da una prova clamorosa di Joaquin Phoenix, che basta e avanza a fare un bel film. Il potenziale per firmare il capolavoro viene dilapidato da un regista e sceneggiatore che in passato si è fatto notare per le notti da leoni, quindi non propriamente cinema d'essai.

Il coraggio è della Warner, che ha permesso di fare un film su un fumetto in cui non c'è una scena d'azione e combattimento che sia una. È per questo che Joker sembra un grande film, perché si confronta con una pletora di non-film, ma nel campionato di quelli d'autore ansima un po' per stare al passo. Imperfetto dunque, ma molto significativo e sintomatico dei tempi.

Non vi anticipo gli scivoloni, sono grossolani e li noterete, approssimazioni, schematismi, cliché. Ciò che mi lascia più perplesso è il meccanismo principale del film, quello cioè che tende ad accumulare sciagure, crudeltà, delusioni che fanno a pezzi il cuore di Arthur, e quasi arrivano a dare giustificazione alle sue brutte reazioni. La società non lo ha aiutato. Fa del male solo quando portato all'esasperazione, come ritorsione o perché attaccato. Joker qui non svolge dunque il ruolo di cattivo, ma di eroe nefasto, un anti-eroe in un mondo sottosopra.

In questa pericolosa parabola il regista non riesce a non empatizzare con il suo protagonista, anche quando sbaglia rovinosamente. Le contestazioni che gli rivolge sono deboli, velleitarie. In questo è un film molto pericoloso e con un potenziale sociale esplosivo. Quanti joker ci sono al mondo? Quanti derelitti, quanti topi di fogna? Cosa vuole dirci Phillips su queste sacche di depressione insite nel mondo occidentale? Non si capisce, sembra tenda a giustificarne una reazione violenta. O comunque a restarne affascinato. Non per vero interesse sociologico, ma per puro gusto estetico e arroganza (anti)logica. È un esito estremo, una soluzione apocalittica per sopravvivere all'inferno quotidiano. "La città sta bruciando, non è bellissimo?".

Questo è il rischio ma anche il bello del film, il suo tratto più spregiudicato e tagliente, con l'apice in una scena da antologia che si consegna direttamente alla storia del cinema. L'epica di Joker si svolge in tv, perché siamo negli anni 80, ma si applica benissimo ai social odierni. Un fallito, devastato dalla vita, incapace di distinguere tra bene e male, riconosce solo l'exploit dell'apparire. Non ha nulla da offrire, non sa far ridere, ma pur di bucare lo schermo, qualsiasi cosa va bene. Le sue terminazioni nervose sono bruciate, nulla può ferirlo perché il suo cuore è ridotto in pezzi minimi. E allora anche la violenza può essere una forma di emancipazione e successo. Tanto più che la gente lo segue nella rivolta che nemmeno lui immaginava.

Sono passaggi vertiginosi in un film poco sapido nella narrazione in sé, a tratti superficiale nello scenario, ma che vive della fisicità malsana del suo protagonista e del suo attore principe, che catalizza ogni istante della visione. Il viso, le guance, il trucco che sgocciola, gli spruzzi di sangue, la schiena gobba, i lividi e il costato scheletrico. Parlano di più di tanti dialoghi un po' goffi e standard. La danza isterica su quella scalinata vertiginosa dice tutto, laddove la costruzione verbale del personaggio non spicca per raffinatezza. Quei colori d'abito e di trucco valgono mezzo film per molti spettatori, è una fascinazione irresistibile verso il male.

E in questo la Warner ha fatto un grosso passo, dopo i tanti protagonisti finti buoni visti in tv e al cinema in questi anni, la casa ha deciso di focalizzarsi direttamente sul cattivo. È una scelta da apprezzare, ma emergono aporie inedite, difficili da sbrogliare. Un protagonista pazzo, che compie del male, si inserisce comunque in una logica valoriale, per pura necessità di nessi causa-effetto, e quindi si tende a giustificarlo, perché anche lui ha le sue "buone" ragioni.

È un altro tipo di eroe, perché la narrazione (di un film comunque pop) rifiuta la non-logica del male, deve far quadrare il cerchio in una visione razionale e socialmente plausibile. Nel mondo consumistico della tv anche la ribellione alla tv diventa cult televisivo. Anche l'antieroe, illuminato dai riflettori, diventa un eroe.

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