Todd "the Wizard" Rundgren è sempre stato un originale, come molti artisti dotati di gran talento. Sperimentatore alieno da ogni preoccupazione commerciale in taluni non del tutto digeribili lavori; superbo, versatile, autore ed interprete pop-rock in altri brillanti album. La sua carriera come musicista e produttore (dagli XTC a Patti Smith, da New York Dolls a Janis Joplin) attraversa più di un trentennio; il suo è un nome di quelli che rimarranno nella storia del rock, ma, nonostante ciò, non si è ancora seduto sugli allori. Quella curiosità, quel desiderio di misurarsi con nuove esperienze musicali, quell'attitudine sincretica che lo hanno sempre contraddistinto, continuano a dargli nuovi stimoli, a fargli esplorare nuovi territori.
"Liars", pubblicato nel 2004, è la dimostrazione più lampante di tutto ciò, di come Todd conservi ancora intatto quell'entusiasmo fanciullesco, quelle antenne ben dritte che gli hanno sempre consentito di captare sonorità anche molto diverse tra loro e spesso lontane dalle sue originarie radici rock. Tali generi musicali talvolta sono stati esplorati in profondità, monograficamente, come avvenne per la Black&Soul con l'imperdibile "Nearly Human" (1989); in altri lavori, invece, mescolati in un unico succulento "minestrone", come per l'album in questione.
Egli, come già altre occasioni, fa tutto da solo, mettendo a frutto le sue non comuni doti di autore, polistrumentista e arrangiatore. "Liars" è una sorta di concept, il cui sottotitolo potrebbe essere lo scherzosamente accademico, "fenomenologia della menzogna nell'età contemporanea".
Infatti nei quattordici brani vengono messi a fuoco i topos nei quali, a parere del "mago", i seguaci della bugia operano con più proficui risultati. Questa carrellata di ipocrisie non poteva che iniziare con "Truth" (parafrasando Musil che lo diceva per la stupidità in rapporto all'intelligenza: "se la bugia non fosse così simile alla verità, come farebbe a mimetizzarsi così bene?") e, a scanso di equivoci, Todd ci mette in guardia dicendoci all'inizio della canzone: "The truth is not here". Il brano è, dal punto di vista musicale, uno di quei giocattolini che solo lui sa confezionare, un'improbabile dance song elettronica che strizza l'occhio agli anni '80, una specie di semiserio remix di se stesso. In "Sweet", "Happy Anniversary" e "Soul Brother", la Black Music viene declinata in diverse delle sue possibili espressioni, dal vecchio Blues al Gospel, dal Pop-Soul al Philly sound, ma l'inconfondibile tocco magico del nostro riesce a conferire ai brani, comunque, un tratto distintivo.
"Stood Up" è figlio riconoscibile e, crediamo, riconosciuto degli amici XTC, pezzo che non avrebbe sfigurato nell'album "Skylarking" (album prodotto indovinate da chi?). In "Mammon" (la menzogna del Dio-denaro...) la sua passione per il gothic-rock, testimoniata peraltro anche da alcune produzioni di genere, viene a galla, ma l'innata ironia che lo ha sempre contraddistinto, riesce a rendere godibile e meno seriosa un tipo che di musica che, proprio su tale aspetto, ha, almeno per me, uno dei suoi maggiori limiti.
In "Future", altro notevole miraggio, Todd dimostra di disimpegnarsi egregiamente anche con la dance attuale, lambendo il drum'n'bass e personalizzandolo con le sue diavolerie elettroniche; la song si apre con un "I remember... the world of tomorrow..." e si chiude con un "the future is now": il punto di vista mi sembra chiaro.
Dopo il "Futuro", anche il suo fratello più anziano, "Past", viene malinconicamente aggregato alla sfilata, ma il modello che indossa è di gran lusso, una ballad soft rock di rara bellezza, genere di cui il nostro è un indiscusso maestro. A completare la panoramica dei campi arati dai bugiardi vi sono la soft elettronica di "Wondering", il caldo soul anni '70 di "Flaw" (il difetto), la pop song chiaroscurale alla Rundgren, verrebbe da dire, "Afterlife" (la bugia maggiore?), un cocktail perfetto, una parte di elettronica, due di pop e una di soul.
E per finire l'attualissima "God Said" (quante bugie si dicono, nascondendosi dietro questo incipit!), superba, ariosa, affascinante ballata e "Liars" potenziale hit in un medioriente davvero libero e non omologato.
Con quest'impegnativo album Rundgren si conferma uno dei musicisti più versatili e fantasiosi, forse tra i migliori a coniugare i vari generi della (pop)lular music. E se il mondo non fosse così dedito alla bugia dell'easy listening più volgare, quest'album non sarebbe passato quasi inosservato.
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