Se il senso ultimo della parola 'creazione' è quello di porre in essere con assoluta libertà - senza limiti né censure di qualsivoglia genere - la propria ispirazione, è anche vero che non sempre il dare un ordine, una forma, al frutto dell'inventiva nuoccia al prodotto finale o lo impoverisca. In qualche caso, anche in musica, si può addirittura affermare il contrario: quanti artisti devono rendere grazie della riuscita della propria opera all'intervento di un "agente" esterno che - con professionalità e, all'occorrenza, distacco - tessa le fila di un discorso che rischierebbe di naufragare nel solipsismo? Spesso è l'arduo compito del produttore - figura a volte trascurata ma di rilevanza fondamentale per le opere di ingegno melodico. Quando poi questo singolare personaggio - che sovente, e a torto, viene relegato nella mera sfera economica del discorso musicale - si cimenta lui stesso in esperimenti sonori, tanto di guadagnato alla causa dell'arte e ai suoi esiti.
"Genio e sregolatezza": l'espressione sembra calzare a pennello per tipi come Todd Rundgren. Ma solo a patto di estendere la portata semantica del primo termine, costringendolo in una elementare biforcazione di significato: tanto geniale nel regalare una 'shape' definitiva alle opere altrui, quanto imprevedibile, folle, sperimentale nel battere la propria strada cantautoriale. Tanto maniacale nel portare a compimento il proprio ruolo di supervisore/produttore (una per tutte: il capolavoro degli XTC "Skylarking" - per il quale il nostro si prese quasi a cazzotti col non meno certosino, nonché illuminato, Andy Partridge) quanto incontenibile nella proposizione del proprio indomito eclettismo. Indole, quest'ultima, che è un po' un'arma a doppio taglio: là dove essa a volte - nei suoi risvolti maggiormente 'glam' - conduce Todd nei meandri di un'anarchia creativa di difficile fruizione e godimento, altrove sfocia in capolavori di strabiliante carica innovativa e conseguente importanza storica.
È il caso, senza dubbio, di "Something/Anything?" (1972) - doppio e inarrivabile parto di una mente alla continua ricerca del sensazionale. Una ricerca che si avvale di tutti i mezzi possibili per raggiungere la meta, non ultima un'attitudine superomistica che si esplica - in tre delle quattro fasi dell'opera - nel polistrumentismo di Todd. A enucleare i generi battuti si rischia l'effetto "lista della spesa": solo un malato può riuscire ad accostare con tanta disinvoltura psichedelie pop di matrice beatlesiana ("I Saw The Light", "It Takes Two To Tango") ad esperimenti di elettronica dal profumo 'black' ("Breathless"), possenti divagazioni rock in stile sixties ("Couldn't I Just Tell You") e rovente R'n'B ("Wolfman Jack") a colorati intermezzi latineggianti ("One More Day"). Il blues fa capolino là dove si svela l'anima più inquieta (e pigra) del compositore ("I Went To The Mirror"), ma c'è spazio anche per sublimi digressioni da cabaret ("The Night The Carousel Burnt Down") e lenti da capogiro ("Torch Song", "Cold Morning Light"). Strepitose le soul ballads: "It Wouldn't Have Made Any Difference", "Sweeter Memories", "Hello It's Me", la superba "Dust In The Wind" varrebbero da sole il viaggio in un tour de force compositivo capace, ad altezza 1972, di far impallidire tre quarti dei colleghi musicisti. Ma tanto può - in stato di grazia - la lucidità di una mente folle. Fin dal nome che porta con orgoglio, "Something/Anything?" è un monumento alla possibilità di fare musica senza limiti, un'opera che trasuda azzardo e inventiva da tutti i pori, meta ideale di qualsiasi spirito che cerca nella creazione melodica la propria strada verso la libertà.
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