Il primo giorno di scuola media indossi i jeans lilla, la camicia a quadretti rosa e la felpa con dei cuori stampati che ti sei accuratamente scelta la sera prima. E quando entri in classe non lo capisci subito, ti occorre osservare che delle tre compagnette femminucce una è truccata da passeggiatrice notturna, occorrono gli sguardi dei tuoi coetanei per capire di essere appena diventata la regina degli sfigati.
Poi cresci, diventi cliente nuvenia, dai il primo bacio, ti crescono le tette e quella sensazione di inadeguatezza si presenta raramente, in vie del tutto eccezionali. Cresci ancora, diventi ventenne e una sera racconti ad una tua amica del trauma che hai subito quando ti sei accorta che in una classe con due pluriripetenti quattordicenni non c'era spazio per le tue camicette rosa. E lei ti racconta della sua scuola media, del fatto che ribellarsi al trend delle zeppe glitterate (dovremmo chiedere un risarcimento danni alle Spice Girls per come ci hanno fatto conciare) può comportare l'isolamento sociale.
E finalmente, dopo ben sette anni dalla fine del tuo piccolo incubo razionalizzi una concezione nella quale avevi sempre confidato: le medie sono state una merda per (quasi) tutti.
A questo punto, dopo aver visto "Fuga dalla scuola media", diviene automatico assurgere Heather Matarazzo a paladina delle racchiette di dieci anni. Dawn Weiner (per tutti Weinerospo) è brutta, cammina in modo goffo, ha una voce sgraziata (nella versione originale) e probabilmente è la madre a scegliere gli orrendi abiti che indossa. Questo basta per essere odiata da tutti, accentuando la vena antipatica del suo carattere. Ma a noi rinnegate basta poco per amarla, basta rileggere in lei il proprio ego di dieci anni fa. S'innamora – sequenza da favola, forse la migliore del film - del sensuale cantante del gruppo garage del fratello nerd, diventa l'oggetto dei desideri del ragazzo più temuto della scuola (in realtà emarginato quanto lei), Weinerospo tenta di dare una svolta nella sua vita, cercando di vestirsi meglio (fallendo, ma d'altronde stiamo pur sempre parlando delle medie), di accettare le avances del teppistello e contemporaneamente di farsi avanti col figaccione. Inutilmente. Non esiste né un evento ne una maturazione interiore che renderà Dawn migliore, nell'esile trama del film di Solondz non riscontriamo tracce di Propp che la portino a cambiare qualcosa o ad amarsi per com'è; la conosciamo triste alla mensa della scuola e la lasciamo triste ed insoddisfatta su una corriera per Disneyland.
Se avesse avuto un lieto fine avrebbero inserito questo film nel palinsesto pomeridiano del periodo natalizio. L'opera vincitrice del Sundance '96 invece è stata trasmessa su Italia1 dopo una puntata di South Park. E South Park lo davano, molto, troppo tardi. Bollino rosso: si può descrivere la violenza senza ettolitri di sangue finto. E Solondz l'ha capito molto bene.
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