Abbiamo davvero bisogno di shoegaze del genere? Un disco derivativo, i cui debiti sono evidenti e le innovazioni scarsissime. Un disco oltretutto ispirato in maniera esplicita ai My Bloody Valentine, gruppo sostanzialmente imbattibile nei cuori di quelli che amano guardarsi le scarpe e stordirsi le orecchie con feedback e distorsioni. Alcuni hanno ritenuto evitabile il ritorno di Kevin Shields con "m b v"  nel 2013. Figuriamoci cosa potrebbero dire su questi quattro giapponesi che  debuttarono nel 2011 proprio con Crystallize e che, per quanto ne sappiamo, potrebbero aver ascoltato solo tre o quattro dischi in tutta la loro vita oltre a Loveless.

Potremmo definirlo un disco inutile senza problemi. Nella sua inutilità, tuttavia, Crystallize è un disco davvero carino. I Tokyo Shoegazer, nome tanto kitsch quanto azzeccato, mostrano di aver imparato benissimo la lezione delle maximae auctoritates dello shoegaze e confezionano sette canzoni che, tra imitazioni pedisseque, vortici noise e momenti più orecchiabili, non annoia l'ascoltatore nostalgico attento anche alla novità. A questo disco è seguito, nel 2013, anche il buon Turnaround, accompagnato purtroppo dallo scioglimento del gruppo. In soli tre anni di carriera i Tokyo Shoegazer hanno comunque saputo confezionare un disco da consigliare (soltanto) agli amanti dello shoegaze più classico e derivativo.

Una nota a parte per la copertina: il disco meriterebbe solo per lei.

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