Avevo enormi aspettative per questo secondo lavoro di Tom Ford. Purtroppo però la visione non ne è stata all’altezza. Sia chiaro: Animali notturni è un film solido, ma non è un grande film. L’impressione è che la montagna abbia partorito il topolino: costruzione diegetica ambiziosa, grande fotografia, attori in grande spolvero, intensità dialogica, cura certosina nella messa in scena. Quello che manca sono storie interessanti, approfondite, che non sappiano di già visto e stravisto. In questo senso, le due parti di cui è composta l’opera, quella reale su Susan e quella romanzesca su Tony e l’indagine del detective, vanno a pescare da bacini tematici particolarmente frequentati nel cinema hollywoodiano: la ricca donna infelice, il crimine e la violenza in scenari desolati.
Il pregio del film è la capacità di raccordare verità e finzione libresca in un intrico di sentimenti frustrati e dolore che si riverbera sulle pagine d’un libro per poi tornare vivido nel sentire di Susan che lo legge. Ma quest’alchimia interessante non è stata impostata nel modo migliore possibile: riducendo al minimo le parti in flashback, quando si spiega l’origine del grumo di dolore di Edward, è come se mancasse sufficiente benzina per far funzionare, agli occhi dello spettatore, tutto il motore che dà avvio alla scrittura del volume. Si dà troppo spazio alle vicende della narrazione di secondo grado, penalizzando la scaturigine di tutta la vicenda. E questo comporta un’impalcatura vendicativa ipertrofica, ma che si appoggia su un basamento d’argilla. Bisognava sacrificare in parte la fascinazione noir delle indagini e dare maggior solidità alle premesse. Soprattutto agli aspetti più aspri e al lato egoistico di Susan.
Tom Ford gestisce il linguaggio cinematografico in modo troppo estetizzante, sacrificando la dimensione narrativa delle sequenze. Non c’è grande pazienza nel costruire le tessiture, perché per il regista ogni immagine deve essere icastica. E allora sono i personaggi a raccontare i loro problemi, ma noi non li vediamo davvero reificati nella messa in scena. I protagonisti si descrivono a vicenda e noi non possiamo far altro che credere loro. Ma questo rende poco efficace la loro caratterizzazione e smorza in parte la potenza e la necessità dello spirito vendicativo del romanzo.
Le dinamiche delle indagini sono tutt’altro che indimenticabili. Anzi, si fanno notare per il loro ritmo blando e l’essenzialità degli elementi in gioco. Non è proprio una storia avvincente quella di Tony, è un lento macerarsi nella frustrazione (e questo va bene), che aggiunge poco al risultato complessivo delle vicende. Si poteva asciugare questa parte e dare maggior consistenza agli sviluppi nella vita reale di Susan, che invece sono del tutto minimali.
Alcuni dialoghi sono anche validi, ma la maggior parte del copione si fa notare per l’impronta didascalica data da Ford. Insomma, tutto è scandito in modo troppo nitido, diluendo in questo modo la corrosiva asprezza delle vicende. Lo spettatore non è mai incalzato dalle scene, ma al contrario le attende, nel loro dipanarsi un po’ pachidermico.
Il talento di Ford sembra più fertile nell’impostazione visiva dell’immagine e delle sequenze. Il nitore con cui vengono concepite le scene è notevole, così come la cura nei dettagli estetici dei personaggi, per evidenziare i loro cambiamenti interiori e il passare del tempo che li logora. Bisogna anche dire che le sequenze erano tutte decisamente facili da girare. Le parti più complesse (e ambiziose) vengono saltate con ellissi furbesche. Vediamo quasi sempre e solo persone dialoganti. Scene curate, nelle luci, nella tonalità cromatica della fotografia, nei paesaggi, nelle pettinature e nei costumi, ma fondamentalmente scene elementari.
6/10
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