Chissà cosa diavolo è la nostalgia. Forse è proprio un demonio, un serpente maligno che ti stuzzica con la mela bacata di un passato che non sarà più. Magari per non farti vivere un presente che non ti piace. O forse è una musa, una splendida donna dalla sguardo luminoso, malinconico e intrigante. Una donna per cui scrivere versi, per cui non dormire la notte. O dormire solamente per sognarla, sempre e solo lei. La nostalgia, un abbraccio di due nuvole, un istante che non può più perpetuarsi, qualcosa che ti segue come un fantasma senz'ombra, ma che come un'ombra non potrai mai scrollarti di dosso.
Ecco, questo disco di Antonio Carlos Jobim è innanzitutto nostalgia. Un vero e proprio disco "postumo" suonato e cantato in vita. Dove l'omaggio all'eterno amico Vinicius de Moraes è innanzitutto tensione verso il reincontro, qualcosa che sublima verso un desiderio bruciante di reunione. Ma che è anche uno splendido omaggio anche all'amicizia. Quella amicizia fatta di dialoghi senza parole, di telepatia, di coincidenze. E soprattutto di fiducia e di presenza. Quella amicizia che quando ti viene a mancare ti lascia un vuoto che sembra risucchiarti. E contro cui devi lottare ogni giorno armandoti di sorriso e di voglia di rivivere.

Interamente giocato su sonorità essenziali e cameristiche, con la timbrica intima di flauto, pianoforte, chitarra e violoncello, il disco si apre con "Soneto da Separação", una poesia che trasfigura in canzone, dove la musica si adatta a fatica alla rigida metrica del sonetto. Una sorta di metafora musicale della difficoltà dell'anima ad adattarsi al distacco, alla separazione. Ed è solo la splendida voce di Paula Morelenbaum ad attutire con la sua sensualità questo totalizzante sentimento di "saudade". E così "Valsa de Eurídice" e "Serenata do Adeus" vengono intonate in maniera precisa e accorata, due brani morbidi e profumati come pelle di pesca, con quell'"Adeus" che ti ferisce l'anima come il presente che è già scivolato nel vortice del passato. E con queste premesse non stupisce che la versione di "Insensatez" presente in questo disco sia la più lancinante mai sentita, un duetto fra Tom e Paula sospeso in un limbo eterno dove la malinconia è la misura più precisa del tempo.

Ma questo disco non è soltanto nostalgia. E' anche dolcezza. Come in "Eu Não Existo Sem Você", trasformata in una splendida e sognante ninna-nanna d'amore. Ed è anche ironia. Mordace, catartica. Con una spettacolare versione di "Garota de Ipanema" dal finale sorprendente, che indugia addirittura in una pennellata d'oriente, e Jobim che ringrazia il pubblico in delirio con un nipponico "arigato". L'album si chiude splendidamente con "Pela Luz dos Olhos Teus", un valzer tenero ed appassionato, che ricorda nelle sonorità e nella delicatezza molti momenti del nostro Nicola Piovani. E con il violoncello di Jacques Morelenbaum, solitamente lirico e struggente, che nel finale imita addirittura il richiamo di una sirena. Un disco sorprendente, che ti intriga e ti stupisce ad ogni riascolto, con una pioggia di lirismo e di "saudade" a ricordarci che il Brasile è molto ma molto di più di samba e carnevale.

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