Siamo nel 1985 e Tom Petty gode già di un'ottima fama. Il biondo cantante e musicista proveniente dalla Florida, sempre spalleggiato dai fidi Heartbreakers, ha già realizzato una manciata di album formidabili, diventando, soprattutto negli Stati Uniti, uno dei cantautori rock maggiormente apprezzati sia dal pubblico che dalla critica. Inizialmente questo album doveva essere doppio, ma l'idea cambiò a causa di alcuni problemi durante la lavorazione, tra i quali la frattura ad una mano del rocker, che per il nervosismo diede un pungo al muro.
Nonostante la formula ormai consolidata e funzionante a meraviglia, Petty decide di rischiare e provare a fare qualcosa di leggermente diverso. Non c'è solo il rock tradizionalista nell'album ma cresce l'uso dell'elettronica, già utilizzata in "You Got Lucky" dell'album precedente, e per la prima volta compare una sezione di fiati.
Accanto ad alcune canzoni che potrebbero stare su un qualsiasi album precedente, come l'iniziale e stupenda "Rebels", uno degli inni Pettyani per eccellenza e "Dogs On The Run", entrambe rockeggianti e con gli Heartbreakers in splendida forma, troviamo episodi che si discostano leggermente dal classico sound della band. "Don't Come Around Here No More" è l'episodio più convincente della nuova strada: batteria squadrata, ronzio elettronico, una melodia memorabile supportata da un coro fantastico nel ritornello e un finale che accellera e diventa puro rock'n'roll. Da segnalare il videoclip che accompagna questa canzone, uno dei più belli e particolari in assoluto, col nostro Petty vestito da Cappellaio Matto della storia "Alice nel paese delle meraviglie".
Non mancano i pezzi più lenti ed emozionanti, come la splendida e malinconica storia "Southern Accents" e la conclusiva "The Best Of Everything" con i fiati in evidenza. Alcune canzoni però, pur rimanendo buone, sono un po' soffocate dall'arrangiamento, come "It Ain't Nothin' To Me" con alcune parti vocali filtrate e "Make It Better (Forget About Me)" che poteva essere un rock'n'roll divertente e dinamico. In alcuni casi l'elettronica e i fiati fanno male all'abituale suono genuino del gruppo. Un po' anonime, anche se piacevoli, "Spike" e "Mary's New Car", due episodi minori che non aggiungono niente di rilevante. Peccato per gli Heartbreakers, mal utilizzati in gran parte dell'album, ma che comunque contribuiranno, in sede live, a migliorare enormemente i pezzi di questo lavoro.
Tom Petty è uno dei pochi che non ha mai sbagliato un album. Qui non siamo assolutamente sui livelli di "Damn The Torpedoes" o "Long After Dark" ma "Southern Accents" rimane un buon lavoro di transizione che è forse meno immediato e che quindi richiede più ascolti prima di essere assimilato completamente. Ci vorrà ancora qualche anno per ritrovare Petty in piena forma, nel suo album più famoso "Full Moon Fever".
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