"Modern Art" del 2003 è di gran lunga il peggior album di Tom Russell; vabbè, pazienza, ci sono album minori in ogni discografia, figuriamoci in una lunga e prolifica come la sua. A differenza del precedente ed infinitamente superiore "Borderland", "Modern Art" non è un concept, se non in senso molto lato: non più la ristretta ambientazione della frontiera messicana, ma una più generica analisi e celebrazione dell'America ed in particolare di alcuni uomini simbolo che ne hanno fatto la storia: tuttavia, Russell va spesso e volentieri fuori tema, e molti episodi suonano veramente manieristici e privi di idee, lontani dall'intensità emotiva a cui ci aveva abituato. Un lavoro con pochi spunti veramente interessanti, legati quasi esclusivamente all'efficace riproposizione di quanto già espresso in passato. Un mix a tratti senza capo né coda di cover e inediti, che in alcuni punti assume i contorni del semplice compitino svogliato, cosa mai successa prima e che, per fortuna, non succederà neanche dopo salvo qualche sporadico episodio.
Tra gli episodi migliori dell'album, che si attesta su sonorità country rock decisamente più impersonali rispetto ai precedenti album, spicca l'iniziale "The Kid From Spavinaw", una ballata intensa, lenta, rarefatta e suggestiva, non è una di quelle canzoni che colpiscono subito ma ha fascino, spessore, e racconta con la consueta maestria la storia di una leggenda del baseball, Mickey Mantle, ponendo l'accento più sull'uomo, sulla sua vita non facile, piena di problemi e sofferenze, che non sul mito e tre classiche ballad acustiche, semplici ma efficaci ed emozionanti, "The Boy Who Cried Wolf", "The Dutchman" e "Isaac Lewis" tre bellissime canzoni che sembrano quasi uscite dal capolavoro "The Man From God Knows Where", con quel medesimo suono antico e struggente, di ascendenze folk europee. "Modern Art", la titletrack, seppur non eccelsa mette in mostra una melodia spigliata e gradevole, accompagnata da un brioso fiddle; bello anche il testo in cui Russell ripercorre la sua vita attraverso avvenimenti storici, artistici e personali, "Racehorse Haynes" invece è un bel country-rock tirato e graffiante, grazie all'azzeccata combinazione tra l'armonica e la chitarra del buon Andrew Hardin; se due pezzi del genere, molto piacevoli senza dubbio, diventano in qualche modo episodi salienti in un album di Tom Russell, beh, vuol dire che c'è qualcosa che non va.
E infatti passiamo alle note dolenti, che purtroppo non sono poche: Tom Russell ha sempre avuto un feeling particolare con Nanci Griffith, buona cantautrice ed ottima interprete, che l'ha spesso accompagnato in concerto e con cui scrisse a quattro mani "Outbound Plane", diventata un pilastro nel repertorio di entrambi gli artisti; in "Modern Art" la brava Nanci è presente in tre canzoni di cui purtroppo, duole dirlo, non se ne salva una: "The Ballad Of Sally Rose" di Emmylou Harris e "Gulf Coast Highway" della Griffith medesima non sono male: due ballate strappalacrime, corpi estranei al pur fumoso contesto dell'album, nonché, specialmente la prima, interpretate in maniera abbastanza piatta e statica; non fa eccezione "Bus Station" di Dave Alvin", collega e amico personale di Russell, che risulta semplicemente un tappabuchi abbastanza spento e noioso. Altra cover assai poco incisiva è "American Hotel"di Carl Brouse, dedicata al primo grande canzoniere d'America, Stephen Foster, anche qui suono vecchio, già sentito, quasi incolore, introduzione parlata sostanzialmente inutile, anche se l'apice della noia lo si raggiunge con "Crucifix In A Death Hand/Carmelita", la recitazione di una poesia di Charles Bukowski accompagnata dalla chitarra acustica unita ad un abbozzo di "Carmelita" dell'allora morente Warren Zevon: un papocchio irritante che si trascina per quasi sette minuti. Cosa resta infine? Un altro riempitivo inconsistente, "Tijuana Bible", e infine "Muhammad Ali", basata su un semplice giro di chitarra acustica, è molto fresca, leggera, quasi estiva: una ballata da spiaggia, molto, ma molto limitata, anche da un testo assolutamente scolastico che non rende giustizia al soggetto a cui è dedicata e neanche a Tom Russell medesimo.
Tirando le somme, "Modern Art" è un album che raggiunge a stento una sufficienza assai risicata, due stelle e mezzo. Copertina molto bella ma fuorviante, a parte "The Kid From Spavinaw" le idee sono poche e confuse, e l'aggiunta di cover tutt'altro che memorabili non fa altro che allungare un brodino insipido peggiorando ulteriormente la situazione; album "only for fans", che per fortuna sarà solo un episodio isolato, dato che i successivi "Indians Cowboys Horses Dogs" e soprattutto "Love And Fear" riporteranno Tom Russell su standard di qualità decisamente più consoni e per lui abituali.
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