Il terzo capitolo dell'avventura discografica di Tom Verlaine ha sempre diviso i pareri: c'è chi lo considera il suo pezzo più pregiato elevandolo addirittura a caposaldo della musica Rock, e c'è chi si lamenta di avvertire una qualche stanchezza compositiva nell'animo dell'alienato cantante e chitarrista della Grande Mela, reo di rimanere troppo incollato al sound che lo ha reso noto negli ambienti underground.

Come spesso accade, la ragione sta nel mezzo: "Words From The Front" è effettivamente un album ispirato, se il suono della chitarra di Verlaine nei lavori precedenti era grande qui è superbo, riesce a far vibrare l'anima imprimendo forza su tappeti sonori soffici senza graffiarli ("True Story", bellissima), si abbandona più alla sperimentazione di quanto non abbia fatto in passato, per lo meno nella sua carriera solista, sfornando un lungo pezzo dal cantato sofferto, parlato, quasi minaccioso, una storia di guerra che i suoi assoli strazianti colorano di sangue (la title-track "Words From The Front") e di contro compone una piacevolissima ballata romantica e positiva (musicalmente parlando) come "Postcard From Waterloo". Ognuno di questi esempi porta all'evidenza come Verlaine sia da considerarsi uno dei chitarristi più innovativi e singolari della scena musicale, forse non valutato tanto quanto avrebbe meritato, le sovraincisioni di chitarra si incastrano al millimetro e non c'è una nota che vada persa; la voce è invece sempre in una dimensione separata, affiancata, lì vicina ma comunque su un altro piano, il suo canto glaciale e tremolante è anch'esso un marchio di fabbrica e viene ben incarnato dalla conclusiva, lunga, ipnotica "Days On The Mountain", altro episodio interessante in cui nell'arco degli 8 minuti e mezzo Verlaine si allontana sempre di più nella nebbia inghiottito dal suono che lo sovrasta, lo domina, un suono che è vivo e indipendente. Questo brano rimane un primo accenno di evoluzione musicale per Tom Verlaine, il quale con questo terzo lavoro del 1982 supera in numero le pubblicazioni fatte con i Television (non che ci volesse poi molto) e si espone ad una serie di critiche che ne denunciano un'eccessiva ripetitività stilistica. Non che Verlaine in effetti si sforzi molto di variare il proprio timbro, e se questo fino a poco prima era da considerarsi un pregio, arrivati a questo punto è comprensibile che inizi a stancare: l'iniziale "Present Arrived" per quanto suoni come un pezzo di ottima fattura sa tanto di già sentito, stesso giudizio sulla fulminea "Coming Apart" mentre la lenta "Clear It Away" è più noiosa che bella.

E' un album che si colloca mezzo gradino sotto il precedente "Dreamtime" pur restando un lavoro di classe superiore, fatto da una mente superiore, si può provare a suonare come Tom Verlaine ma solo lui riesce a copiare se stesso, pur con il rischio di sembrare ripetitivo. La sua grandezza sta anche qui.

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