Tom Waits, Tutti i testi, Arcana, edizione 1986. Traduzioni a cura di Massimo Cotto.
Collana Musiqua diretta da Riccardo Bertoncelli ( quello che sparava cazzate ne “L’Avvelenata” di Guccini).
1) PREMESSA.
L’edizione in mio possesso si tronca inesorabilmente al 1986, con i testi di “Rain Dogs”. La acquistai che avevo 16/17 anni nel 1989/90. Ci sono versioni più recenti, altre edizioni, c’è il web, oggi. Allora solo l’angolino più buio di una libreria, dove chi ti osservava diceva “non cerca letteratura” e ti guardava con sufficienza. Ma ero entrato in possesso del vinile di “Bouced Cheecks” ed il passo successivo doveva essere proprio quel volumetto. Un’operazione analoga a quella compiuta per i Floyd e per Dylan nel biennio precedente.
2) DISAMINA.
Certo la parabola artistica di Tom Waits potrebbe seguire tre direttrici, legandole alle altrettante sue case discografiche di riferimento (Asylum, Island, Epitaph), alle città dove ha vissuto (Los Angeles, New York e Petaluma in California), o agli stili della sua musica: Jazz pianistico conturbante e Blues nottiluco nella prima ora (1973-1982); poliedrico, sfaccettato e sperimentale, con musicisti Avant Jazz oltre gli steccati dei generi, tra Weill e Beefheart (la trilogia di “Frank”); poi minimalista, rumorista ed eccentrico songwriter, autore di ballads di gran respiro o di cartavetra, con la ricerca di groove spigolosi e duri, in una sorta di liberazione artistica indipendente e debordante, verso il modernariato Folk-Rock più atipico, da “Bone Machine” ad oggi. Oppure, seguire l’evoluzione del suo canto e della sua voce, da umorale e selvaggia, ad arrocchita e sporca, a rugginosa, catramosa e delirante “con metodo”; lungo queste tre fasi i paradigmi che egli sembra trasfigurare, nell’ordine, sono Howlin’ Wolf, Charley Patton e Captain Beefheart. In questa sede vorrei sottolineare però alcuni aspetti realtivi ai testi del primo Waits, quello degli Asylum Years, quello dunque inzuppato di Jazz, di fuliggine Blues e di madrigali pertinenti al genere “Comedy”/”Spoken”.
Se la forma canzone è propriamente solo nell’esordio, in quanto Waits si propone tendenzialmente come “cubista sintetico”, cercando di far essere la canzone realtà stessa, cruda naturalmente, e non soltanto la sua rappresentazione. Adotta, poi, nella sua versificazione punti di vista molteplici o quantomeno angolazioni inattese. Teniamo conto che in questa fase non v’è ancora il sodalizio con Kateleen Brennan, da cui avrà tre figli, ed una duratura collaborazione artistica da “Strange Weather” in “Big Time” (1988). Alle spalle di Waits aleggia una decostruzione surrealista alla Mirò, una progressiva corrosione dei canoni della canzone, che ha il parallelo con la pittura di Picasso e Barque. Ma i più corroboranti riferimenti letterari sono: Kerouac di “Sotterranei”, Corso, Ferlinghetti, Ginsberg, Bukowski (“cosa c’è nella vita oltre a bere, fare l’amore, puntare sui cavalli e scrivere?”, potrebbe tranquillamente stare in bocca al cantante di Pomona). Ezra Pound. E Groucho Marx (“Birra calda e donne fredde”, witz divenuto programmaticamente canzone).
Negli esordi molto hanno contato le sessioni di Jazz and Poetry, che trovano compimento nel suo terzo lavoro (“Nighthawks at the Dinnar”), ove si prodiga come crooner e perfetto entertainer sornione, sardonico, ermetico, malinconico, narratore grigio e sfumato che profonde colpi di chiaroscuro con grande effetto. Da “Small Change”, che evidenzia aperture Jazz complesse, imbibisce l’io narrativo di rimandi profusi in divagazioni anche di difficile comprensione, dove l’arte imita palesemente la vita, come chiedeva Dostoevskij, sviluppandosi e rapprendendosi sulle proprie esperienze ed inclinazioni.
Come definire lo stile scrittorio di Waits? Underground? Post Underground? Di più, dipinge una certa umanità con “realismo sporco” e compromissione vissuta, con emozionalità partecipe. Non vale poi tanto il principio “umanità mi stai sul cazzo” di Bukovski, quanto il suo influsso estetico. Così il cantautore-cantastorie-istrione Waits rappresenta la depravazione della vita dei paesaggi urbani, lo affascinano gli aspetti più sordidi della metropoli moderna giustapposti ai sentimenti ed alle velleità dell’uomo di tutti i tempi, pone il suo sguardo sugli oppressi in modo enfatico, ma veritiero; il linguaggio è crudo, ma evocativo, in definitiva raffinato, in qualche modo poco convenzionale. Lo stile è aspro, scarno, maledetto, grottesco, autoironico, colloquiale, diretto, arguto, laconico e molto tattile, olfattivo, visivo, percepibile fisicamente. Abbraccia tutti i sensi, perciò sono necessarie la traduzione e la lettura dei testi delle sue canzoni. Cotto, Caredda e Buja, in questo libro, approntano una traduzione in equilibrio tra letteralismo ed interpretazione, con una notevole resa poetica.
Il sogno americano è una pia illusione. Solo i diseredati possono cogliere il senso della vita, tutti gli altri vanno inevitabilmente a tentoni, parafrasando ancora Bukowski. Con giudizio sospeso, occhio avalutativo, atarassia, Waits guarda le coscienze degli sconfitti e degli esuli, dal punto di vista del sentimento e con una certa solidarietà. Coglie, nella loro sovversione non sospetta, il loro stesso essere liberi di perdere.
Osserva il lato marginale e (tragi)comico della vita, senza incappare nel pessimismo. L’accostamento di elementi insoliti, i suoni ripetuti, l’interesse per le persone irrisolte, il vocabolario spartano, ma suggestivo, sono le armi che adotta preferenzialmente (in futuro prevarrà un certo ermetismo). Usa l’impoetico, lo sterile, l’intrattabile con esiti poetici, fertili e riccamente comunicativi. Modi bohème e maledetti a esprimere una coscienza fatta a pezzi, incenerita e ricostruita, la coscienza di una umanità inquieta, spesso squallida, sempre sconfitta. Tuttavia, e oramai, pronta per una redenzione.
Così, almeno fino ad “Heartattack and Wine”, il tutto confluisce in una “poesia” dinamica, verbosa, allarmante, volubile, sporca e nitida al contempo, lirica ed accessibile. Dietro la maschera dell’ironia.
Cosa scrive Waits? Caricature, non oltraggi, bollettini metereologici sentimentali, invocazioni alla luna, interludi su uova strapazzate con salsiccia, storie di cuori infranti, di truffe ed affari loschi, dicendo sempre bugie, così da non poter più neanche mentire (parafrasando l’epilogo di “Whistlin’ Past The Graveyard”).
Che posti descrive? Autobus, treni, auto contromano, “taxi vagabondi color giallo piscio”, pompe di benzina, motel, luna park, cimiteri poco ossianici, bassifondi suburbani “dove qualcuno sta sempre innaffiando il marciapiede”, il fervore dei porti, dei locali di striptease, dei bar, delle case di malaffare.
Di chi parla Waits? Di Soldati, marinai, puttane, imbroglioni, derelitti, alcolisti, vagabondi, fantasmi, disadattati, beautiful losers e naufraghi del sogno americano.
Di che uomini si tratta? Alle spalle dei suoi oppressi si intravede una speranza e un’ etica, una non condanna e la ricostruzione di un’umanità apparentemente irredenta, ma da salvare o almeno da mai biasimare. L’attesa non è vana, ma nutrita di speranze ed incertezze. Quantomeno si preconizza un cambio di coscienza in chi guardi con lui.
I testi, in definitiva, sono parte essenziale della sua opera, la loro bellezza, a volte sporca, irritante, impudica, non lascia indifferenti, né irriflessivi.
Tom Waits è un grande cantastorie, un autentico traghettatore di anime. Certamente è un ottimo scrittore di versi. Ecco, allora, un invito a leggere i suoi testi, specialmente rivolto ai giovani ascoltatori, perché lontani dalla banalità e dal nichilismo, laddove cantano con voce aspra possono metterti in bocca dolcezza, laddove cantano la disperazione possono dare speranza, sogno dove ci sono, apparentemente, solo spossato realismo e cinismo ottuso.
3) ESEMPLIFICAZIONI
Di seguito propongo alcuni stralci di canzoni.
DIAMONDS ON MY WINDSHIELDS (1974)
Diamanti sul mio parabrezza
E queste lacrime dal paradiso
Sto entrando in città dalla Interstate
A fianco di un treno d'acciaio sotto la pioggia
E gli spifferi d’aria mi mordono la guancia
Queste corse sulle autostrade nel pieno della notte
Ti spingono ogni volta a cantare
C'è un Duster che cerca di cambiare la mia melodia
Procede veloce alla mia destra
Corre senza sosta da un giorno intero
E c’è un autostoppista del Wisconsin con la testa a palla di biliardo
Che vorrebbe trovarsi nel suo letto nel Wisconsin
Ma ci sono quattro metri e mezzo di neve nella costa Est
Ed è più freddo del culo di un cercatore d’oro.
Ed è più freddo del culo di un cercatore d’oro.
[…]
FUMBLIN’ WITH THE BLUES (1974)
[…]
Il venerdì mi ha lasciato brancolante e malinconico
Ed è duro cominciare a vincere quando hai sempre perso
E i ritagli della notte hanno abbattuto il morale
E spinto la tua testa contro il muro
Due vicoli ciechi e devi ancora deciderti
Tutti i baristi conoscono il mio nome…
[…]
PUTNAM COUNTRY (1975)
È facile immaginare che le cose siano sempre state tranquille
nella provincia di Putnam
riservata e sonnacchiosa, abbarbicata ai bordi
della strada a due corsie, allungata come
che era sdraiato come un pavimento di asfalto da ballo.
Una pista da ballo d’asfalto dove i vecchi
Si rannicchiavano dentro le loro salopette e gli stivali dozzinali
e mentivano sul loro passato e i luoghi dove erano stati
Mentre ingollavano Coca Cola e sputavano Days Work
[…]
E tutti i bulli della città pretenderanno attenzione
E celebrità e continueranno a vantarsi
Di aver posseduto più fighe e culi
Delle tazze del cesso.
[…]
TOM TRAUBERT’S BLUES (1976)
[…]
Sono una vittima innocente di un vicolo cieco
e sono stufo di tutti questi soldati quaggiù
Nessuno parla inglese ed ogni cosa è a pezzi
E i miei Stacys sono bagnati marci
Per portare Matilda a ballare, andiamo Matilda, ballerai
Matilda con me.
[…]
Ho perduto la mia catenina ora che l’ho baciata
E che il bandito monco ne è a conoscenza
[…]
Ed è una valigia ridotta a mal partito
Diretta verso un hotel di chissà dove
E una ferita che non guarirà mai
Non c’è profumo su una primadonna
Su questa vecchia camicia con macchie
Di sangue e di whisky
E allora buonanotte a tutti gli spazzini
Alle vedette notturne a chi tiene accesa quella fiamma
E buonanotte anche a Matilda
THE PIANO HAS BEEN DRINKING (1976)
Il piano ha bevuto
La mia cravatta è addormentata
I musicisti sono tornati da New York
Il juke box deve farsi una pisciatina
E questa moquette ha bisogno di un parrucchiere
Il riflettore sembra un evaso dal carcere
E il telefono ha finito le sigarette
[…]
L’addetto alle luci è cieco da un occhio
E non riesce a vedere dall’altro
L’accordatore del pianoforte ha un cornetto acustico
Ed è venuto accompagnato da sua madre
ll piano ha bevuto
ll piano ha bevuto
[…]
E il proprietario del locale è un minorato mentale
Con il quoziente di intelligenza di un palo di staccionata
[…]
I giornali ti prendono in giro
I portacenere se ne sono andati
E ll piano ha bevuto
ll piano ha bevuto
Non certo io, non certo io.
WHISTLIN’ PAST THE GRAVEYARD (1978)
[…]
I miei occhi hanno visto la gloria
Delle fogne e degli scarichi
vengo a Baton Rouge
Solo per trovare una donna
Ho intenzione di procurarmene
Un paio ogni volta che pioverà
Vedi una locomotiva
E probabilmente pensi che sia un treno
Fischio mentre attraverso il cimitero
E calpesto una crepa nel terreno
[…]
KENTUKY AVENUE (1978)
La buick di Eddie ha quattro fori di proiettile su un lato
Charlie Delisle è seduto in cima a un albero di avocado
La signora Stormll ti dà una coltellata se provi a calpestare il suo prato
Io ho mezzo pacchetto di Lucky Strike dai vieni con me
Riempiamoci le tasche di nocioline macadamia
poi andremo da Bobby Goodmansons
E saltaremo giù dal tetto
Hilda gioca a strip poker
E sua madre è dall’altra parte della strada
Joey Navinski sostiene che gli ha messo la lingua in bocca
Dicky Faulkners ha un coltello a serramanico
E alcuni attrezzi
Qull’ eucalipto è gobbo
E c’è un vento che viene da sud
Lascia che ti leghi con il filo di un aquilone
E ti mostrerò le croste sul mio ginocchio
Attento quel bicchiere rotto, mettiti scarpe e calze e vieni via con me
Seguiamo quel camion dei pompieri
Forse è casa tua che sta bruciando
[…]
poi sputeremo addosso a Ronnie Arnold
E lo manderemo affanculo con il dito
E tagliaremo le gomme dell’ autobus della scuola
[…]
Prendi i raggi dalla tua sedia a rotelle
E le ali di una gazza
E legale alle spalle e ai tuoi piedi
Io ruberò un seghetto a mio padre
E taglierò l’apparecchio delle tue gambe
Lo sotterreremo stanotte nel campo di granoturco
Infila in tasca un apribottiglia
Salteremo su quel treno merci con un po’ di alcol in corpo
El scivolaremo giù fino in fondo
Nell’autunno di New Orleans
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