Tempo fa, vedendo un servizio sulla guerra in Irak, ho avuto la conferma di qualcosa che in fondo avevo sempre immaginato. Tra tanti ragazzi poveri, e spesso appena maggiorenni, mandati lì ad uccidere e a morire, ve n'erano molti che si stavano divertendo o che, perlomeno, si erano imposti di farlo. Dinanzi ad un'impietosa telecamera soldati di tutte le etnie (chicani, afro, wasp) dichiaravano con stupefacente candore che, quando sparavano dalle torrette dei carriarmati, per aumentare l'adrenalina suonavano a volumi assordanti i cd di quei violentissimi gruppi metal e hip hop tante volte recensiti qui su debaser. Tutto ciò non deve meravigliare, la musica è sempre stata importante, soprattutto in guerra.

    Anche queste "danze degli eredi del sacrificio" sono canzoni di guerra, ma, siccome ognuna di esse celebra la rivolta di una minoranza contro i conquistadores (la ribellione nel 1673 degli indios Paiaià contro i primi colonizzatori, quella nel 1835 degli schiavi musulmani Malê a Bahia, le lotte dei Nagô del Maranhão), forse dovrebbero, a differenza di quelle statunitensi, essere ascoltate e danzate da tutti i popoli asserviti da un dominatore straniero. Pure noi potremmo quindi averne bisogno, soprattutto se consideriamo che Tom Zé ha deciso di realizzarle dopo aver appreso da una ricerca di mercato condotta da MTV che nei teenager brasiliani, oggi ignari eredi del sacrificio, vi è una forte tendenza all'edonismo, al consumismo e all'irresponsabilità sociale

    Prive di testi e costruite solo con suoni onomatopeici (perché all' "illusione materialista" Tom Zé ha voluto contrapporre "la realtà spirituale"), queste danze, numerate come 7, "hegelianamente" -spiega il musicista nel suo sito- sono 21, perché ciascuna si divide in 3 proposizioni musicali perfettamente distinguibili che, "como prevê o Eclesiastes, perfazem os tempos de VIVER, SOFRER, REVOLTAR". Tentare di descrivere nel loro complesso le canzoni è estremamente arduo. Quasi tutte sono delle marchinhas travestite da samba e caratterizzate da un uso quasi "hard rock" dell'elettronica (il che potrebbe farci pensare a certe cose di Jim Thirlwell, aka Foetus), anche se, soprattutto nelle parti centrali, vi è un largo utilizzo di strumenti elettrici e acustici (chitarre classiche, percussioni, arpe, fisarmoniche..). Alcuni momenti, nonostante i temi trattati (o forse proprio per questo) sono incredibilmente giocosi (penso alla gioia infantile della melodia spernacchiata all'interno di "Atchim" o all'intermezzo festoso per arpa, fisarmonica e coro in "Cara-cuà"), altri teneramente struggenti ("Triù-trii") ma, dopo diversi ascolti, si può addirittura avere la mostruosa sensazione che in questo disco siano praticamente rappresentate tutte le emozioni possibili.

    Spendere qualche parola sull'autore mi sembra doveroso. In attività dagli anni '60, Tom Zé è stato forse l'esponente più radicale del tropicalismo. Spesso, a causa della sperimentazione presente nei suoi lavori e soprattutto per il suo atteggiamento provocatorio (nel 1973 durante la dittatura militare realizzò un disco, "Todos los olhos", sulla cui copertina quello che apparentemente figurava come un occhio sganato era in realtà una biglia di vetro all'interno di un orifizio femminile) è stato definito ingiustamente il Frank Zappa brasiliano. Di certo assieme al nostro amatissimo baffuto appartiene senz'altro alla categoria dei pazzi lucidi e, rispetto alla grandiosa musica del primo, la sua non è certo meno complessa e coinvolgente. Consiglio questo bellissimo disco a chiunque, ma soprattutto a chi vuole distruggere all'aperto o all'interno di sé qualcosa con gioia.

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