Favoloso incontro tra tradizione e modernità, tra gioco e malinconia, tra dissonanza e luce, ad opera di uno che se ne "stava nella tempesta e dormiva in un'uragano".

Ma andiamo con ordine e partiamo da "Tropicalia", anzi da Joao.

Che io uno come Joao potrei ascoltarlo per ore, ma non è questo il punto. Lui era solo un cantante zen e non faceva strumentali per chitarra, sezione fiati, macchina da scrivere e frullatore.

Mi risulta però che un pazzoide armato di oscillometro, campanellini e altre diavolerie, vada dicendo in giro che la sua (quella di Joao) sarebbe la voce più perfetta del novecento. E io sono d'accordo, ci mancherebbe, anche se ci sono arrivato in maniera empirica. Ma magari questa storia dello scienzato musicofilo è una bufala.

E, comunque, io, tra lo zen e il frullatore, mi colloco filosoficamente in maniera equidistante. Anche perché ho bisogno di entrambi.

E, comunque due, siamo in Brasile qui signori, terra della magia e cuore dell'estetica musicale. Da una parte lo zen e la misura, la mirabile essenzialità (Joao). Dall'altra la sperimentazione e la più geniale follia pop (Tom).

Ma se ho citato Joao l'ho fatto solo per chiarire che Tom Zé (il tipo degli strumentali per chitarra, sezione fiati,macchina da scrivere e frullatore) c'entra solo relativamente con il mio amore per la musica brasiliana.

Che Tom Zé è un atipico. E atipico è un termine che adoro sin dall'infanzia, che da bambino chiamavano così tutti i calciatori che mi piacevano.

Però, tutta la musica brasiliana che amo, compresa la sua, è fine e popolare. E si basa sul ritmo, che dice Tom Zé nelle note di copertina, in Brasile è un aspetto del sacro. Che “Il ritmo è Dio disidratato”

Si la musica brasiliana si basa sul ritmo...e sulla luce, sulla malinconia. Tutte qualità presenti anche in Tom Zé. Ecco perché Joao. Ecco perché Tropicalia.

Ma chi è Tom Zé? Mica lo so tanto bene. Visto che, in pratica, conosco solo questo best of. Che volete, faccio parte della antica razza degli ascoltatori ruminanti, ovvero quelli un disco alla volta, sbocconcellato, assaporato a lungo, con digestione lenta. Ascoltando magari venticinque volte il brano x per poi passare a quello y.

Comunque la conoscenza di Tom Zé la dobbiamo, come se non gli dovessimo già abbastanza, a David Byrne.

Fu lui a scoprilo e a tirarlo fuori dall'oblio, producendo questo album. Che all'alba dei novanta il nostro Tom, dopo una ventina d'anni di musica, stava per aprire una pompa di benzina. Unico dei tropicalisti (Veloso, Gal costa, Gil e quant'altri) a non aver avuto successo.

Tom Zè è un futurista legato alla tradizione, un devoto appassionato della musica del suo nord est, e uno capace di strappar note a ogni diavoleria possibile e immaginabile, ad esempio a utensili e elettrodomestici assemblati nei modi più stravaganti.

Nel libretto del disco c'è il diagramma di uno delle sue creature: un mobile a cassetti contenente frullatori, aspirapolvere e altre applicazioni (?) che si azionano premendo un bottone su una tastiera di campanellini (?).

Ecco immaginate come può suonare uno stumento così, aggiungete un migliaiio di soluzioni percussive (il dio disidratato), spolverate con dissonanze proto wave e coretti femminili. E pensate, come già detto, a una sorta di continuum con l'essenza della musica brasiliana, luce. malinconia e quant'altro.

E soprattutto aggiungete un'ronia tagliente, secca, affilata e la brillantezza di testi formidabili pieni di intelligenza, semplicità, illuminazioni linguistiche, onomatopee e follie varie, ovvero tutto ciò che il comunicato “Luaka bop” definiva “eccentrico lirismo metaforico”. Se non capite il portoghese non preoccupatevi. Nel libretto interno ci sono le traduzioni in inglese di Arto Lindsay.

Ma partiamo dalla più bella canzone di tutti i tempi (??????).

Si chiama “Ui! (Voce inventa)”. Alterna un andamento circolare e ipnotico, appena appena dissonante a un samba quasi da filastrocca, dove una voce da folletto e coretti femminili sciocchini canticchiano questa cosina: “Tu inventi la legge e io invento l'obbedienza/tu inventi dio e io invento la fede/ tu inventi il lavoro e io invento la mano/ tu inventi il peso e io invento la schiena /tu inventi un'altra vita e io invento la rassegnazione/ tu inventi il peccato e io invento l'inferno/ tu inventi l'amore e io invento la solitudine”

Una roba che, secondo me, suonano alle porte del paradiso nell'attimo in cui si capisce tutto. A patto di avere un dio umorista, beninteso. Che qui non ci si da importanza e si dicono cose essenziali. Qui non c'è il “complexo de epico” dell'omonima canzone ( è la traccia 12).

Tutti i compositori brasiliani, dice infatti il nostro Tom, sono dei complessati a causa dell'insana ossessione della conversazione seria. E sorridono serio, piangono serio, giocano serio.

“Oh, mio dio in paradiso, come si fa a essere così seri all'inferno? E perché quel desiderio di sembrare un eroe o un professore universitario? Forse perché il serpente che ha cominciato a mangiare sè stesso dalla coda è allo stesso tempo cacciatore e preda?”

Anche “To” ha un andamento da jingle filosofico ed è iper ritmica, iper filastroccosa e ancora con un canto da folletto che parte sornione e arriva al limite dell'urlo. E dice “Te lo dico chiaro per confonderti, ti confondo per dirtelo chiaro”. E anche questa è per le porte del paradiso. Soprattutto perché è divertente.

Il disco si divide tra questi samba un po' folli, momenti più tirati, nervosi e rumoristici (quelli inconsapevolmente proto wave) e brani brevissimi in preda a uno sperimentalismo dadaista.

Ci son poi anche canzoni da cantautore brasiliano “quasi” classico, con persino una cover Jobim/De moraes, appena appena disturbata da un indolente rumoretto percussivo.

Dio li abbia in gloria Jobim e De Moraes. E Joao. E tropicalia.

Ma sentiamo Tom Ze, da un vecchio articolo che ho trovato in rete: “I produttori pensavano che io fossi completamente pazzo, invece ero proprio io, uno che fin dall' inizio non si sentiva cantautore, ma voleva fare un' arte delle proprie deficienze musicali. Incapace di adattarmi al mainstream, di allinearmi a samba o bossa nova, sono cresciuto sperando che il mondo cambiasse e si abituasse ai miei suoni. E aspettando, sono finito nella tomba prima di diventare vecchio».

Che ne dite di quella frase sul fare un'arte delle proprie deficienze musicali? E su quella volontà di non allinearsi? Che non allinearsi non significa non essere all'interno di una tradizione e di una storia, non ci sarebbe altrimenti la cover di Jobim/De Moraes. E non ci sarebbe “Solidao” che sempre di quella tradizione è figlia. E nemmeno una canzone come “Vai” che potresti sentire persino da Caetano, senza però quel cantato a velocità folle e quelle spericolate peripezie linguistiche.

Insomma c'è un continuum con la miglior musica brasiliana, ma anche, e soprattutto, una genuina ricerca di stile, dove idee favolose (come il portare la chitarra dal mondo armonico a quello ritmico o il costruire nuove esperienze sonore fabbricando nuove macchine musicali) generano una lingua nuova e personalissima. Unica, addirittura. Che un altro come Tom Zé non lo trovate.

Ma quanti capolavori in questo disco!!!

“Riso e o faca è un carillon depresso contrappuntato da un suono di trottola con un testo alla Baudelaire passato al setaccio delle avanguardie.

“Um oh e um ah” son cinquantadue secondi da varietà televisivo impazzito, un “tuca tuca” proveniente da un altro pianeta. Il testo ripete solo O e A e la parola paracatuzum.

Paracatuzum...

“Ma” e “Nave maria”, che aprono e chiudono il disco. sono invece contaminazioni riuscitissime tra tribalismo, rumorismo, avanguardia.

La poesia in “Ma” è altissima; “Eh, il samba e gli arcangeli/oh, la strada e la guerriglia/eh, la mano dell'alba/ oh, luceluna di luna/eh, il seno e la tua sete/...

”I coretti in “Nave Maria” “Dudu, bidu, bidu, mama agua/dudu bidu bidu papa, da, da” poi davvero, non so, son quasi troppo.

E' che son canzoni favolose, parlan di cose primarie, la nascita, il battesimo, la vita nella sua essenza. E riescono a farlo con una economia espressiva da paura: sintesi, follia...follia, sintesi...o forse commedia...o forse tragedia...più probabilmente l'unione delle due

Insisto, alle porte del paradiso c'è sta roba e poi forse Bach varcata la soglia.

Tralasciando di parlare anche delle altre canzoni, tutte bellissime, vorrei darvi un consiglio. In questi giorni ho trovato in rete una conversazione tra Tom Zé, Arto Lindsay e David Byrne. Beh, leggetela, ne vale la pena. Specie quando parla del suo amato nord est.

Aggiungo che scrivendo questa recensione mi son sentito anche l'album successivo a questo, il primo in studio dopo tanti anni. Inutile dire che è un capolavoro.

Stop.

Anzi, paracatuzum.

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