Benvenuti nella loggia degli Oddfellows. Se siete qui perché siete entrati a farvi parte nel 2001 e magari seguivate il gran maestro Mike Patton da tempo immemore allora, in questo caso, bentornati, voi sapeve già la verità. Se siete invece degli iniziati è giusto introdurvi in maniera adeguata a ciò che andate ad ascoltare tra queste gialle mura. 

Tomahawk è quello che in molti chiamerebbero supergruppo per la presenza al suo interno di eminenze provenienti da band di rilievo di una certa scena, ma in questo caso super lo useremo con il significato di eccellenza data la presenza di: Mike Patton (volete che tra parentesi vi scriva tutte le band in cui ha militato oppure mi dimostrate che siete degni di far parte di quel folto gruppo di persone che già sanno che questo tizio è stato ovunque ci fosse musica cosiddetta alternativa dal 1989 in poi?), Duane Denison (il signore alla sei corde nel seminale gruppetto dedito alla violenza storta chiamato The Jesus Lizard), John Stainer (molti di voi si ricorderanno le sue tremende mazzate su quei gentili figuri che furono gli Helmet, altri invece sulle chirurgiche ritmiche del combo elettro-disturbante che sono i Battles, hai detto niente) e Trevor Dunn (anche qui la lista è lunghina ma questo simpaticone si è trovato sul luogo del delitto assieme a mr.Patton con i Mr.Bungle e i Fantômas oltre ad escursioni eleganti e pop con i suoi Mad Love e che qui prende il posto dell'uscente, ormai da un bel po', Kevin Rutmanis, eccellente fu bassista di un altro gruppetto da nulla chiamato Melvins (strana storia, il signor Dunn ora fa parte anche della versione lite del trio, a volte la vita...)). Ordunque, una volta fatte le dovute presentazioni, parliamo di musica. La bandicciola è qui al quarto lavoro in studio preceduto da un primo omonimo dischetto decisamente forte e tirato, un secondo "Mit Gas" che fotografa il gruppo al suo massimo espressivo, un terzo esperimento azzardato che porta il nome di "Anonymous" che ci presenta canzoni pescate, e rimaneggiate alla maniera dei nostri, dalla tradizione dei nativi americani, forse per tenere fede all'estetica del nome del gruppo o chissà per quale altro motivo, che, a parer mio, di anonimo non aveva solo il titolo, insomma potevano far meglio. Arrivati a questo punto non sapevo cosa attendermi da questo "Oddfellows", data l'imprevedibilità del capo mastro Michele, l'unica era provare. Per associazione di artwork, un'associazione mentale tutta mia, mi sono detto "ok questa grafica a fumetti potrebbe riportarmi alla bellezza di quel "Suspended Animation" che fu della creatura Fantômas", dove là fu affidato al nipponico Yoshitomo Nara qui il compito di dare un'immagine alla musica è tutto dell'italiano, o almeno, nato in Italia ma di nazionalità americana, Ivan Brunetti, che rimaneggia a mò di cartoon le immagini della loggia degli Odd Fellows mettendo al posto delle facce serie dei componenti dei simpatici animaletti con la bocca rivolta all'ingiù. Le mie aspettative non sono state tradite sicuramente. 

Ho dovuto ascoltare più volte entrambi i lati del vinile per farmi una data idea di questo lavoro. Quando, inizialmente, mi sono trovato a pensare che questo potesse essere un "ritorno al passato" collocabile tra il primo lavoro e il secondo lavoro, ad un più attento ascolto posso affermare che sta benissimo dove sta. Un nuovo capitolo, un nuovo approccio alla cosa, che mantiene il sound della band ma che lo eleva ad un piano più alto e molto più rock. Si aprono le danze con la swamp thing che è la title track, uno stomp sludgifero che prende per le orecchie i sodali capitanati da King Buzzo,che strazia il ritmo con due giri due di accordi che fanno male, un male che apre le ali nel ritornello e che si richiude nel "solo" finale di Denison, un intreccio a velocità folle di scuola math-rock, impazzito e tagliente. Tagliente come il riff che serpeggia sotto la successiva "Stone Letter" che è il degno (degnissimo anzi) primo singolo del lavoro: una strofa che ti spara dritto il gelo della ritmica e che nel ritornello ti ubriaca con una melodia catchy che non sentivi dai tempi degli ultimi Faith No More, epicità da pop mutageno che si accoppia in direttissima con un punk tutto nervi, e sale fino in testa incollandosi indelebilmente. Impossibile dire che la successiva "I.O.U." faccia parte dello stesso disco delle precedenti, è un gioiellino di ritmica trip-hop (sarà stata la collaborazione con i Massive Attack?), su cui si muove un pianoforte strisciante, cori westerniano-cattedralici e il volo icariano della voce di Patton a coronare il tutto. A riprova che le melodie di voce sono le migliori da parecchi anni a questa parte c'è "A Thousand Eyes" sorretta da bordoni melodici di synth, cori e una chitarra che non si limita a spezzare ossa e ritmica, ma che accompagna il crescendo melodico fino ad un ritornello che definire enorme è poco, non per il volume, tanto quanto per la sua perfezione emotiva. E lo spirito di Morricone si palesa sulla ritmica jazz del basso di "Rise Up Dirty Waters" dove la voce rimane epica fino a richiamare alla memoria il primo lavoro dei Bungle, spiazzandomi totalmente, inaspettato ricordo dei folli intrecci vocali di quel lavoro pazzesco e ci accompagna fino ad uno dei momenti migliori del lavoro ossia la punkorientedtispaccoilculo "South Paw", snervante e potenziale momento live in cui la gente si fa saltare i denti a gomitate. E non stupitevi se "Baby Let's Play ____" vi verrà in mente un allucinante flirt con i Bad Seeds più inseediosi (per dire, la simpatia), perché è più che una mera illusione, se Nick Cave fosse stato nel deserto vestito come Il Monco di Leone, avrebbe scritto e cantato un pezzo così.

E adesso che siete davanti alla verità della loggia pensate se potete ancora uscirne. Di certo noi non vi obblighiamo a rimanere. Forse.

"But tonight, thought about it, you don't know me, know me anymore

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