Quando decisi di acquistare questo album, mi proposi di ascoltarlo molte volte prima di dare un giudizio anche solo sommario all’intero lavoro.
Non poteva essere altrimenti visto l’ambizioso progetto messo in piedi da Tomas Bodin (talentuoso tastierista dei The Flower Kings). Un cd della durata di 1 ora 3 minuti e 23 secondi composto da sole 3 canzoni della durata di circa 23 minuti la prima, 21 la seconda e 18 la terza ed ultima traccia.
Cosa aspettarsi? Uno sbadiglio subito dopo la prima metà della prima traccia? Forse sì, ma il mio proposito era chiaro, quindi mi sono armato di buona voglia e con un bel po’ di fiducia nel concept introspettivo che mi aspettava, ho intrapreso l’ascolto e l’ho ripetuto numerose volte prima di giungere a cercare di descrivere a parole ciò che le mie orecchie ma soprattutto il mio cuore avevano sentito.
Nel concept è Bodin stesso a mettere in discussione la sua vita personale e la ricerca della spiritualità, attraversando vari stati d’animo derivanti da domande che si pone e affrontando anche temi religiosi, fino ad uno dei punti culminanti del concept cioè ad una sorta di dialogo che Bodin instaura con Dio. Il filo conduttore dell’opera è la continua ricerca di risposte per cercare di capire dove la vita lo stia portando ma anche dove lo porterà la morte e cosa ci sarà dopo.
Per la parte musicale, molte sono le soluzioni che strizzano l’occhio alle progressive bands del passato come Genesis, King Crimson ma anche Pink Floyd e addirittura si possono sentire echi Beatlesiani. Molte delle atmosfere di tastiera e piano sono figlie del grande Keith Emerson (EL&P), non sono copie, ma anzi Bodin riesce a trasferire la sua bravura in partiture che ricordano in molti passaggi la vena compositiva del suo illustre collega. Se dovessi definire questo lavoro, non direi che si tratta di un lavoro "solista", infatti non è lo strumento di Tomas al centro delle composizioni, le tastiere sono certamente parte integrante e fondamentale per la completezza del lavoro, ma chitarra, basso e batteria non sono messi in secondo piano, anch’essi sono primi attori e non comparse o poco più come già sentito in altri lavori solisti. La voce di Jansson risulta molto versatile, incisiva ed acuta quando serve ed esprime alla perfezione i vari momenti emotivi descritti dai testi; fanno capolino anche due voci femminili, Helene Schonning e la moglie di Bodin, Pernilla. Si sfiorano molti generi tra cui il rock puro (ma anche l’hard rock), il progressive e anche il jazz; una menzione particolare va poi fatta agli arrangiamenti di basso (Jonas Reingold sfoggia una performance in grande stile) e batteria e la produzione quasi perfetta.
Ammetto che per un lavoro di questa portata (per quanto mi riguarda secondo solo a "The Human Equation") non bisogna essere degli schizzinosi o dei frettolosi. La cosa che vi consiglio è: pazienza e tutti i pezzi di questo puzzle andranno al loro posto da soli. I tanti ascolti premiano e mi hanno permesso di comprendere che anche io mi pongo le stesse domande e ho gli stessi dubbi, incredibile il fatto che un album mi abbia fatto riflettere in questa maniera sul senso della vita e sui suoi perché.
Da ascoltare leggendo i testi e cercando di comprendere le ragioni filosofico/religiose che hanno spinto l’autore a scrivere una così complessa rock opera.
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