L'inizio del nuovo millennio potrebbe essere ricordato, musicalmente parlando, per molte tendenze anche divergenti. Personalmente, due sono le caratteristiche principali degli anni post 2001. Primo, l'iperprolificità assurda di molte band, effetto secondario della proletarizzazione delle tecnologie di registrazione, per cui mi produco i dischi, quindi mi sento in dovere di pubblicare qualsivoglia cagata appena abbozzata. Secondo, i nomi dei gruppi; non pretendo nomi uguali o per forza sensati, ma ultimamente si sta esagerando.
Un gruppo che raggiunge tranquillamente la top 5 delle due caratteristiche sopra elencate potrebbbero essere i Tonstartssbandht, due fratelli originari della Florida e ora trasferitisi a Brooklyn. Il nome è tra le cose più inutili mi sia capitato di vedere scritto, tanto valeva battere tasti a caso, stile assolo di Sun Ra, e il risultato era lo stesso. Mi fa venire talmente il nervoso che non ho minimamente cercato in rete se abbia o meno un significato.
Per quello che riguarda l'iperproduttività, non scherzano: dal 2008 ad oggi, 13 dischi prima di questo “Sorcerer”. Una media da colletti bianchi giapponesi. Pur con tutti questi punti a sfavore, sti due matti hanno pubblicato un disco strambissimo, che merita due righe per non passare ingiustamente inascoltato.
Tre tracce per 35 minuti scarsi di musica a grandi linee definibile come psichedelica, essendo tre “jam organizzate”, passatemi l'ossimoro, che brillano per varietà di registri e atmosfere, con una fruibilità fantastica per il genere. “Breathe” parte lenta, sostenuta da una linea di basso insistita, per poi velocizzarsi mano a mano, con profluvio di effetti a voce e chitarra, fino ad una accelerazione seguita da una coda di synth. La titletrack fa anche meglio partendo come una psych ballad lo-fi che rimane in testa per mesi, un ibrido strambo di garage psych a due voci, che a me ricorda qualche oscuro gruppo freakbeat inglese dei '60, tipo Elmer Gantry's Velvet Opera, per poi sciogliersi in un finale liquido e dopato. Infine “Opening” parte come dei Coral a bassa fedeltà, o come uno in acido che prova a suonare country con tanto di slide, proseguendo su uno scivoloso crinale jazzato, finendo a valle coi Mama's & Papas. Se superate il fatto di non poter parlare a nessuno della band (provate a pronunciare il nome, voglio vedervi), avrete un piccolo scrigno di gemme psichedeliche non male.
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