AMERICAN HISTORY X

Quei denti che mordono il marciapiede, quel rumore sordo che segue la slow motion di un armadio a torso nudo pieno di odio bianco che si muove verso lo “scarafaggio” nero immobilizzato ed inerme. Non si vede nulla, solo quel rumore, ma gli occhi assatanati di Edward Norton, il suo ghigno beffardo mentre lentamente si avvicina carico di tutto il disprezzo possibile per schiacciare con intento assassino quello che considera il frutto blasfemo ed immondo di una razza inferiore; quella fotografia è impressa a fuoco tra i miei ricordi cinematografici.

Sono passati dieci anni e "American History X" grazie a scene fortissime come questa, resta. Non è la prima volta che si toglie il colore, per sottolineare il tema razziale in un film, ed il risultato dà ragione al regista Tony Kaye. Senza infatti, il bianco diventa luce ed il nero notte: si accentuano le differenze. Il tempo ogni tanto si ferma e con una fotografia curata l’attore a mio parere più dotato e camaleontico dell’ultima generazione (Schegge di paura, Fight Club, La 25esima ora…) si esalta in sfumature d’espressione che ci fanno entrare nella testa di un fanatico. La violenza descritta nell’assalto ad un market straniero trova il suo geniale apice nell'uso del latte a colorare il viso di una commessa sud-americana impietrita dalla paura. I dialoghi con i quali aizza i suoi sono rasoiate di odio che Derek ha ereditato dal padre poliziotto assassinato e frutto dell’indottrinazione dell'anziano capo. Il personaggio è reso talmente bene che quella gigantesca “bandiera” tatuata sul cuore, non sembra un’esagerazione, ma la naturale decorazione di un purissimo guerriero del “white power”.

Nel regno dei neri, nel rettangolo nel quale si sentono i migliori, una palla rubata ed una schiacciata al rallentatore con riso amarissimo per sancire la sconfitta più dolorosa. La cacciata degli “scarafaggi” da quella che consideravano la loro intoccabile casa. La reazione arriva. E torniamo quindi al rumore sordo iniziale ed entriamo nella prigione dove Derek ha il tempo per scoprire che i suoi ideali più puri; quelli per i quali sarebbe morto nella realtà dura di un carcere cominciano a scricchiolare. Credeva che la sua bandiera lo avrebbe protetto ed invece lo spoglia della sua dignità, lo colpisce. Al contempo ciò che lo fa sopravvivere nel periodo di detenzione è un ragazzo di colore, con il quale lentamente lega.

Quando esce di galera tenta di tirare fuori il fratello, che lo aveva preso a modello ricalcandone le orme nella setta. Le gocce della doccia gli scendono in un altro slow motion dove si capisce che la conversione è ormai completa. Poggia una mano sulla “bandiera”; è un gesto dolce, ma la vorrebbe strappare. Rinnega il passato. L’odio genera solo odio; la morale di un film violento e duro che colpisce allo stomaco più di una volta. Da ascoltare in lingua originale, per assaporare toni di dialoghi ottimamente costruiti che garantiscono una veridicità impressionante. Una fotografia agghiacciante dell’America moderna. Una pellicola ben interpretata e costruita che lascia il segno

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