Ieri ho visto American History X. Me l’avevano consigliato in molti, e mi avevano parlato di una pellicola cruda e violenta, ma allo stesso tempo toccante e formativa.

In effetti America History X è un film di ostilità, di ideali, una riflessione sull’odio, e in questo caso sul razzismo. Il regista Kaye insomma ci insegna di non fare agli altri ciò che non si vorrebbe venisse fatto a noi. La paura e i dubbi giovanili vengono sfogati attraverso la violenza.

Sono secoli che ci si potrebbe dibattere su questi temi, ancora maledettamente attuali: la divisione delle razze, la patria, l’intolleranza… tutti avvenimenti che aleggiano intorno al simbolo nazista, spesso tatuato (ideologicamente se non pragmaticamente, come Derek) sulla pelle dei giovani. Giovani che si riuniscono sotto forma di “gruppi d’odio” e nei quali una qualsiasi figura debole ma intelligente, come Derek, può trovare forza e sicurezza. Giovani abbandonati a se stessi, svuotati dagli affetti e riempiti d’odio per cercare di sopperire alla crudeltà della vita. Giovani nei quali sono state inculcate delle regole che, giuste o sbagliate che siano, vengono seguite e rispettate. Regole, come quelle del nazismo, che sebbene siano nate già morte, ancora non hanno cessato di esistere e si teme che siano diventate eterne, e l’unica flebile “opposizione” è quella di vergognarsene, cosa che stiamo facendo ma che risulta terribilmente fine a sé stessa.

Tematiche che non possono essere non prese in considerazione, specie se scelte come argomento di un film, e non dovrebbero essere solo olio su acqua, non dovrebbero semplicemente passare senza lasciare traccia, restando a galla senza mescolarsi con essa. American History X scorre, parallela alle reazioni e alle riflessioni che provocano immagini forti, ci fa rivivere le cause della sorte di un giovane attraverso i flashback, è un coltello nel burro. Si cresce con ideali sbagliati, per poi arrivare all’autodistruzione, al distinguere il bianco dal nero senza saper più cogliere le sfumature più importanti.

Derek viaggia nei suoi ricordi, alla ricerca della radice di quei mali; ma è egli stesso a rivelare in che maniera l’odio riesce ad accecare, causa i suoi trascorsi in prigione. E non vuole essere una semplice guida per il fratello, ma vuole cercare di fargli capire come tutto si paga nella vita, e prima o poi ci si arriverà a chiedere se la vita stessa è stata migliorata da ciò in cui si è creduto. Non è solo un analisi del neo nazismo, ma una condanna assoluta dei pregiudizi razziali (cosa sempre al centro dell’attenzione soprattutto negli USA) e soprattutto dell’odio.

Un’accurata fotografia e una sceneggiatura sempre ben coesa al tema narrato contribuiscono alla “poeticità” del film; Edward Norton in una delle sue interpretazioni più superbe conferisce spettacolarità al tutto.

L’odio è una palla al piede: la vita è troppo breve per passarla sempre arrabbiati, non ne vale la pena.”

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