Dopo 5 anni è uscito il nuovo atteso capitolo dei Tool: 10000 Days. Ci sono già molte recensioni, ma io, essendo bradipo, ci ho messo un pò di più a digerire i 75 minuti. Ho deciso di dare 4 stelle, perchè non ritengo che questo sia un capolavoro. Comunque è sicuramente uno dei migliori album degli ultimi 5 anni. Da uno sguardo generale si osserva subito che i canoni tooliani non si sono alterati in modo vistoso: la tecnica, l'ispirazione e la necessità di espressione sono ancora presenti a formare una combinazione sempre fresca e originale.

L'album si apre con "Vicarious", canzone che unisce una gran bella melodia a un'aggressività ritmica di tutto rispetto. Bellissimo il pezzo "la-la-la-la-la-lie" e gli incisivi strumentali. Ad essa segue "Jambi", canzone più quieta che rivela il nuovo stato di essere dei Tool: nervosismo nascosto sotto un velo di apparente calma e riflessività. Qui si possono intravedere influenza quasi Post Rock (lo studio e la ripetitività ossessiva del ritmo). A seguire si hanno le due "Wings of Mary", due brani che vanno considerati un pezzo unico. Siamo giunti nel cuore del nuovo album, anzi, nel primo ventricolo: un interminabile viaggio allucinato nel profondo delle tenebre e della sofferenza. Si sente chiaramente l'influenza dei Pink Floyd, ma l'assonanza non fa comunque cadere gli ascoltatori in strani déjà-vù. Un conto sono i Pink Floyd, un altro i Tool. Dopodichè si giunge a "The Pot", canzone più tooleggiante. Belli soprattutto l'inizio cantato di Maynard e la perdita di punti di riferimento causati dal caro vecchio Carey.
Finalmente un momento di riposo: "Lipan Conjuring". Lo spartiacque dell'intera opera: un canto dalle sonorità indiane squarciato alla fine dall'urlo di Keenan.

E' stato solo un momento, il fischio della chitarra ci rigetta nell'inferno, e così siamo prima anestetizzati da "Lost Keys" e poi trafitti dalla mostruosa creatura di immane ferocia che è "Rosette Stoned", l'altro ventricolo dell'opera. Bellissima, dalle distorsioni vocali e strumentali che lentamente si rilassano ma che poi tornano senza lasciare un momento di respiro all'ascoltatore.
Ormai siamo giunti quasi sul finale: "Intension", rilassante calma dopo la tremenda tempesta, ci done altri segnali di sperimentazione, dalle sonorità nuovamente Post Rock alla batteria elettrica di Carey. Un gran bel giro di chitarra ci apre, infine, all'ultima canzone propriamente detta, "Right In Two". Bellissima per la sua melodia ed emotività.
A seguire ci si lascia cullare dalla finale "Viginti Tres": 5 minuti di rumore indecifrabile, che fanno pensare ad un risucchio di tutto che lascia solo un vuoto anestetizzante e pacificatore.

Un bell'album, sicuramente meno complesso e intricato dei precedenti, ma senza ombra di dubbio superiore a tutta la musica degli ultimi 5 anni. Sembra che oltre a loro quasi nessun altro gruppo sia più in grado di creare buona muisca. E non parlo solo di tecnica, ma di ispirazione, intelligenza musicale, espressività, emotività.

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