Dopo anni di attesa, i Tool si presentano in quel di Roma e io non potevo mancare all’appuntamento.
La curiosità e l’emozione di poter assistere ad un loro concerto è tanta, ma viene subito smorzata da una notizia che mi lascia con l’amaro in bocca.
Il concerto qualche giorno prima viene spostato dalla Centrale del tennis, che di solito gode di ottima acustica, al Palaghiaccio di Marino, che al contrario lascia molto a desiderare.
Giungo sul posto con anticipo, ma l’affluenza sarà molto lenta, ci vorranno le 21.30 prima che il palazzetto si riempa del tutto.
Prima dell’inizio del concerto un tizio sale sul palco e raccomanda a tutti di “non scattare foto e fare video perché richiesto espressamente dagli artisti, ci potrebbe essere il rischio che sospendono il concerto!!”….per fortuna non sarà così perché sarebbe successo il finimondo.
Mynard e soci fanno il loro ingresso sul palco intorno alle 22, accompagnati dall’intermezzo strumentale “Lost Keys” dell’ultimo album, e tra il boato generale inizia il concerto vero e proprio con la successiva “Rosetta Stoned”.
Come immaginavo Mynard canterà tutto il concerto di spalle al pubblico, in piedi su un palchetto laterale alla batteria.
Purtroppo l’acustica soprattutto nel primo pezzo è pessima, i bassi e i colpi di cassa rimbalzano tra le mura del palazzetto e si fatica a distinguere gli strumenti.
Va meglio con “Stinkfist” e “Forthy six and 2” che agitano il pubblico presente scatenando anche un discreto pogo.
I 4 di L.A. suonano in maniera perfetta, non sbagliano un colpo, soprattutto Danny Carey, oltre ad avermi impressionato per la stazza possente, è il più ispirato e regala al pubblico un’enormità di numeri dietro le pelli. Da menzionare il lavoro del bassista Justin Chancellor, di solito il meno citato della band, che ha fornito un’ottima prestazione non solo rasentando la perfezione ma muovendosi molto sul palco.
Mynard e Adam invece non mi hanno stupito, dal primo mi aspettavo che cantasse bene e di spalle al pubblico,come del secondo conoscevo il suo impatto freddo sul palco, praticamente una sagoma, anche se il suo modo di suonare è fondamentale per il suond dei Tool e lo definirei la mente del gruppo, colui che oltre a inventare i riff più incisivi, a curare in maniera maniacale i suoni, è anche autore della gran parte dei video.
Già…dietro di loro sono proiettati in continuazione dei video su quattro pannelli e questa è una delle cose che ho apprezzato di più, perché si legano perfettamente alla musica e danno un senso di instabilità, in certi momenti ti fanno viaggiare.
Il concerto scivola via tra vecchie glorie e nuovi rampolli, da “Lateralus”, “Aenema”, ”Sober”, ”Shism”, alle recenti “Vicarius”, ”Jambi”, ”Right in two”…vedendo la reazione del pubblico le vecchie glorie vincono ma le nuove canzoni escono a testa alta dal confronto, soprattutto “Vicarius”.
Dopo un’ora e venti circa di concerto i nostri si affacciano davanti al palco, Mynard finalmente si gira e batte il cinque ai suoi compagni di avventura e dopo averci salutato abbandonano il palco.
Per qualche minuto rimane tutto buio e sembra scontato un loro ritorno sul palco per chiudere con qualche piatto forte, una “Third Eye” o “Parabol-Parabola” ad esempio.
Invece per loro basta così… si riaccendono le luci e tra le perplessità e qualche fischio del pubblico tutti a casa.
Le impressioni finali sono quelle di aver assistito ad un live egregio, suonato da musicisti con la M maiuscola, ma da loro mi aspettavo lo stesso qualcosa in più…al di là dell’acustica che ha condizionato la loro esibizione, 11 brani in scaletta mi sembrano un po pochi….
P.s: nel giudizio finale 4 per me era troppo e 3 poco… quindi do un 3 e mezzo.
Carico i commenti... con calma