Nel 2000, poco prima della pubblicazione dell'attesissimo "Lateralus", esce "Salival", canonica raccolta di brani dal vivo, cover e rarità.
Il disco apre con due versioni live di altrettanti classici del gruppo, "Third Eye" (da "Aenima"), introdotta da un sample di Timothy Leary, e "Part Of Me" (dall'ep "Opiate"), eseguiti con tecnica e precisione ammirevoli: a coloro che non hanno mai avuto la fortuna di ascoltare i Tool dal vivo bastano questi due brani per scoprire la resa on stage del gruppo, capace di riproporre con fedeltà assoluta e al contempo con molta intensità canzoni dalle partiture molto complesse. Segue un'interessante versione alternativa di "Pushit", sempre dal vivo, totalmente diversa dall'originale contenuta in "Aenima", molto più imperniata su melodia e tribalismi. "Message To Harry Manback II", invece, è il primo brano in studio del disco: si tratta a tutti gli effetti di una curiosa reprise dell'omonimo brano di "Aenima", il cui tema viene riproposto da una sezione d'archi, anziché dal pianoforte. Il soggetto è sempre lo stesso: un uomo di chiare origini italiane lascia nella segreteria telefonica di un certo Harry Manback un messaggio pieno di insulti, tra cui alcuni in italiano.
Seguono altri due brani live: la strumentale "Merkaba", in cui il batterista Danny Carey sfoggia la sua notevole tecnica mentre il resto del gruppo si diletta con feedback, samples, delay e rumorismi vari, e "You Lied", ottima cover degli inglesi Peach (il gruppo in cui militava il bassista Justin Chancellor prima di raggiungere i Tool nel '96). Ma il piatto forte viene servito alla traccia numero sette, una coraggiosa quanto straordinaria rilettura di un classico dei Led Zeppelin, "No Quarter", questa volta in studio. Coraggiosa perché è stata riarrangiata e reinterpretata in modo molto personale, d'altronde soltanto il tema iniziale riprende l'originale, il resto è tutta opera dei Tool (anche il testo è stato modificato), straordinaria perché forse è anche migliore dell'originale, una delle canzoni più belle in assoluto dello storico quartetto inglese. La traccia conclusiva, "L. A. M. C." (acronimo di Los Angeles Municipal Court), non è altro che un messaggio vocale della segreteria telefonica del municipio di Los Angeles impiastrato su una serie di rumori siderurgici, solita stranezza alla Tool. Le sorprese non sono ancora finite, perché dopo alcuni secondi di silenzio quattro semplici accordi (può sembrare strano per un gruppo come i Tool) introducono la traccia fantasma, "Maynard's Dick" (traduzione: il cazzo di Maynard), godibile canzoncina in puro stile grunge, scritta chiaramente agli inizi della carriera.
In definitiva, si tratta di un disco imperdibile. Cade un gradino sotto ad "Aenima" e al successivo "Lateralus" per la sua natura di raccolta e non di album vero e proprio, comunque è molto appetibile per ogni fan dei Tool che si rispetti. È logico che per chi non conosce il gruppo e vuole scoprirlo non è il lavoro più adatto, ad ogni modo si tratta di un disco da avere.
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