Scegliere quale recensire dei sette cd finora scritti e pubblicati da Myra Ellen Amos, in arte Tori, non è cosa semplice per chi come me segue questa ragazza americana mezza cheeroke con assoluta devozione ed amore fin dal suo esordio nel 1991, anche se in effetti gli ultimi due lavori aiutano nella scelta non essendo assolutamente all'altezza dei precedenti e non meritano quindi di essere considerati.
Ne restano comunque cinque, tutti di una bellezza imbarazzante, complessa, diversa e totale. La mia scelta cade su Boys for Pele del 1996, il lavoro forse in assoluto più ostico, difficile e tanto vario da sembrare dispersivo ad un primo ascolto ma che in realtà porrà le basi per il successivo From the Choirgirl Hotel, il cd giudicato da critica e pubblico come il suo lavoro più bilanciato e maturo (1998).
Figlia ribelle di un ministro protestante del North Carolina, all'età di nove anni Tori già componeva brani virtuosi al pianoforte, suo strumento principe con cui oggi esprime ogni sua sensazione in modo quasi tangibile, palpabile ed incredibilmente sensuale. A quindici lascia la città natale guadagnandosi da vivere cantando nei nightclub e formando vari gruppi che non appagheranno mai il suo talento e che le faranno scegliere la felice strada di compositrice e solista.
Boys for Pele, terzo album della rossa musicista, mette in evidenza totalmente tutto il suo genio creativo distinguendosi dai precedenti per una struttura musicale più complessa ed eterogenea, quasi esuberante tanto è eclettica. La formula è sempre la stessa: grandi ballate in cui virtuosismo al pianoforte e virtuosismo vocale costruiscono immagini ed emozioni di forte impatto emotivo ed evocativo, mentre le melodie danno corpo e voce alle problematiche più profonde dell’universo femminile e sensazioni incredibili si impossessano dell'ascoltatore che viene rapito e portato in una dimensione lontana ed irreale.
Il tutto con una dolcezza ed una passione fortissime, che ci cullano trasportandoci con esse in paesaggi sonori lontani e tiepidi.. La voce sale dalle viscere eppure è delicatissima anche dove è uno strumento potente, ora urlante ora sussurrata, le note al pianoforte eseguite con precisione e corposità, sono solo sette ma sembrano infinite, l'uso degli archi insieme alle percussioni, al clavicembalo che riesce a suonare contemporaneamente al piano a coda - vista con questi miei occhi pieni di lei - ed al carillon danno un senso di perdita della cognizione del tempo; così troviamo ambientazioni quasi cavalleresche e medievali in "Horses" e in "Blood Roses", madrigali in "Father Lucifer", la scatenata "Professional Widow" è quasi un'opera rock a se stante, poi lo scherzo di "Mr. Zebra" e la caduta con la dolcissima "Marianne" struggente per la dolcezza; tocchiamo la vetta con il pezzo più elettronico e sperimentale "Caught a Lite Sneeze" passando per il gospel di "Way Down" e "Muhammad My Friend", la parentesi intimista di "Not the Red Baron", e la ballata un po' barocca e un po' moderna di "Talula" fino allo swing estremo, contaminato da ritmi di riti voodoo e jazz di "In The Springtime of His Voodoo" in cui i vocalizzi della bella americana fanno arrossire di imbarazzo per la bravura e la sensualità.
Chiude il cd "Twinkle" una ballata dolcissima che ci fa dimenticare per un attimo l'energia rabbiosa e quella sorta di amarezza racchiuse all’interno del cd (la Amos era appena stata lasciata dal suo uomo nonché produttore Eric Rosse da cui era stata a detta sua molto delusa) e che ci restituisce al nostro tran tran quotidiano come dopo l'effetto di una schiaffo sonoro e di una carezza lunghissima e lenta, lungo tutto il corpo...
Opera forse un po' troppo ricca sia per il numero delle tracce (18) che per la pienezza dei contenuti sonori, va ascoltata per questo un poco più attentamente delle altre, ma ne vale davvero la pena, ve lo assicuro. Il viaggio verso Tori, è uno splendido viaggio senza ritorno...
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