Mi è tornato in mente proprio ieri questo disco, quando la mia amica Fosca mi ha chiamata dicendomi “ascoltavo Playboy Mommy e ti ho pensata”!
L’ho ripreso dallo scaffale nel quale era sepolto da molto tempo perché è un disco doloroso legato ad un ricordo doloroso ma è anche uno dei lavori che preferisco di Tori Amos che ha girato per tantissimo tempo nel mio lettore e del quale avevo pensato spesso di fare una recensione.
Amo Tori Amos perchè è una di quelle artiste che ha fatto della sua arte la sua terapia, il suo modo per lenire le ferite, per esprimere la sua complessità e i suoi contrasti.
Tori Amos è una donna che nasce da una famiglia estremamente religiosa e rigida, la ribellione agli schemi e ai valori imposti rendono la vera essenza del peccato stesso, chi ha visto un suo concerto anche solo in video lo percepisce nettamente dal suo rapporto praticamente fisico e viscerale con il pianoforte e dalla sensualità e la malizia che escono da ogni sua fibra e ad ogni suo sguardo.
“From the Choigirl Hotel” è il suo quarto album, nei suoi precedenti ha già esorcizzato quasi tutte le sue paure, nei suoi testi complessi ha già spiegato bene cosa pensa di se stessa e cosa pensa degli uomini ma c’è un evento prima di questo disco che la sconvolge proprio all’apice del successo, un evento tanto imprevisto quanto doloroso forse uno dei più dolorosi per una donna ovvero la perdita della bambina di cui era in attesa.
Questo è “From the Choigirl Hotel”, la rielaborazione di quello stesso dolore, di quelle emozioni e di quella sofferenza quello che si andrà a trovare all’interno lo si comprende già dalla bellissima copertina nella quale Tori sembra imprigionata in un urna di vetro. L’album è estremamente complesso e articolato. Il pianoforte che aveva caratterizzato così tanto dischi come “Boys for Pele” è qui un po’ in secondo piano per lasciare più spazio all’elettronica e alle percussioni. Il vero fascino di questo disco sta però nei testi taglienti come pezzi di vetro.
“Spark” apre il disco e appare come una tenera ballata ma il testo è pieno di senso di colpa "Lei era convinta di poter tenere a bada un ghiacciaio\ Ma non è riuscita a mantenere in vita la bambina\ Dubitando se ci sia una donna qui da qualche parte\.
Il senso di colpa si unisce a quello di impotenza nei confronti della sua stessa essenza in “Playboy Mommy” dice "Non sono mai stata la fantasia di ciò che vuoi\ Volevi che io fossi\ Non giudicarmi così duramente, ragazzina, hai una mamma playboy...".
In ogni traccia c’è un po’ di se stessa e il risultato finale è una sorta di confessione tanto nella tranquilla ed elettronica “Liquid Diamonds” quanto nell’elegante “Pandora’s Aquarium” sottolineata dal piano suonato in maniera forte ed energica quasi a incidere ogni parola ed ogni concetto. Non manca un po’ di disprezzo per i tanto odiati/amati uomini in “Black Dove”, “Cruel” o nella stessa “Hotel” dove dice “Eri un selvaggio, dove sei ora?\ Dammi di più, dammi di più, dammi di più\ Devo imparare a lasciarti precipitare..."
Forse scrivendo questa recensione ho esorcizzato un po’ anche io la sofferenza legata a questo disco.
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