Perchè Tori Amos pubblicò "Strange Little Girls" ? Mancanza di idee ? Bisogno di temporaggiare ? In ogni caso, qualcosa non andava.
Perchè sbatterci davanti un album di cover così (consentitemi: il disco peggiore di Tori Amos) a ben due anni di distanza dal confuso (e non perciò brutto in toto) "To Venus And Back" ? Che cosa stava minando la creatività di un'artista capace, solo pochi anni prima, di allietare il mercato musicale con quattro degli album più belli di sempre ? Sta di fatto che i nostri (miei) dubbi si dissipano finalmente all'uscita di questo "Scarlet's Walk", il miglior disco di Tori Amos dai tempi di "From The Choirgirl Hotel".
Amos è naturalmente cambiata. Le strumentazioni elettroniche vengono abbandonate in favore di un suono più semplice e lineare, pericolosamente in bilico tra il sound che l'ha resa celebre e un più confortevole pop-rock (sembra che così Tori abbia trovato la sua dimensione ideale, giacchè "The Beekeeper" ne seguirà la falsariga). "Amber Waves" è un impeccabile prologo. Ritmo in primo piano, voci sdoppiate, cambi di tempo. E la sensualità con cui canta " tell the Northern Lights to keep shining" vale, da sola, l'acquisto del cd. Il miracolo si ripete con "A Sorta Fairytale", primo singolo estratto (guardate il video, il bacio tra lei e Adrien Brody è da brivido), con pianoforte e batteria protagonista. Binomio, questo, su cui è incentrata gran parte del lavoro. Ma anche chitarra, come nella successiva "Wednesday", o percussioni africane ("Don't Make Me Come To Vegas"). Tori Amos viaggia attraverso l'America riscoprendo luoghi (troverete una mappa...), persone, costumi. Ma è impossibile tacere di fronte alle grandi tragedie che l'affliggono. Così si spiega lo sconcerto di Scarlet (l'alter-ego di Tori, che in lei sublima l'artista e la donna [americana]) di fronte a una malata New York, in uno dei brani più commoventi e appassionati della rossa cantautrice ("I Can't See New York").
L'album, nel complesso piuttosto dimesso, fila via liscio tra composizioni immense ("Carbon" e la dolorosa "Pancake", resa unica dalla voce sporca e roca della nostra) e altre più sottotono ("Crazy" e "Don't Make Me Come To Vegas", quasi fastidiose). I 74 minuti di musica sono francamente troppi, e il lavoro sarebbe stato certamente più coeso ed equilibrato se qualche canzone fosse stata omessa. In ogni caso rimane "Virginia", tesoro da custodire gelosamente, e "Gold Dust", dedicata al compleanno della figlia, speranza e consolazione ("Enjoy her every cry").
Tori Amos c'è, sebbene con qualche anno in più e qualche idea in meno (per capirci, non scriverà mai più un'altra "Professional Widow"), ma la sua vena creativa, fortunamente, non si è ancora spenta. Riscopritela.
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