Tortilla Flat - Für ein 3/4 Stündchen - 1974
Comunque la si veda, la musica del primo lustro degli anni '70 rappresenta una grande spinta creativa in campo musicale. Dopo, è vero, ci sono episodi, talvolta geniali, talvolta travolgenti per bellezza e originalità, ma mano a mano sempre più isolati e rari. Quel fausto quinquennio è terribile, dove si pesca si pesca bene, in qualsiasi parte del mondo. Questo gruppo, i Tortilla Flat, non era neppure presenti nel pur nutritissimo data base del DeBaser, eppure hanno prodotto un disco che definire bello è veramente poco.
In effetti, poco si sa di questa band. Operava con ben sette elementi in Westfalia ed era capitanata dai fratelli Hans e Hermann Basten (batteria il primo, flauto e chitarra il secondo). Il loro disco uscì nel 1974 e risultò un quadro di spettacolare bellezza: vario eppure compatto nelle sonorità. Suonato con gran maestria, innovazione e intelligenza, pregno di soluzioni personali e mai ripetitive. Tra i brani impossibile non citare "Leere, Chaos, Schopfung" dalle tinte jazzy, dai toni delicati, vagamente brasialini, "Obit, Anus, Obit Anus" e il suo saltellare tra Canterbury, Focus e Jethro Tull primordiali, "Fatimorgani" che pare una anticipazione di "San Jacinto" di Peter Gabriel, "Temperamente" con il suo dialogo leggero e sublime che rimanda ai cugini olandesi "Supersister" prima e ai Caravan verso il finale, "Mohre" dalle tessiture semiacustiche, così trasportanti e immaginifiche, "Tortilla Flat" con i suoi attacchi di tradizionalismo tra flamenco e incredibili anticipazioni di prog nordico degli anni '90, con un sottile gusto per la dissonanza, resa piacevole da una ritmicità ricca, mai scontata. Tutti intrisi di psichedelia, frammentati, giocosi, ipnotici e pure così precisi e centrati. E sopra a tutto quel flauto, la cui presenza, seppur massiccia, non va mai ad essere stucchevole, non riempie mai abbastanza e, senza saturare, voltola in maniera onirica e fascinosa, tra una chitarra acida e un piano elettrico, tra un ritmo sincopato e un basso pulsante, doppiato da poche note di tastiera o dall'inconfondibile arpeggio della Gibson ES-175 semiacustica o dal glockenspiel o da un suadente violino.
Globalmente il lavoro potrebbe essere identificato come uno di quei rari e appassionanti lavori di Canterbury lontano dalla terra genitrice, ma tanti e piacevoli sono gli spunti complessivi che di etichettarlo proprio non viene voglia.
Siamo stufi, spaventati, inorriditi, schifati nel pronunciare ancora la parola progressive? OK, definiamo questo disco di folk psichedelico con tinte jazz, ma cribbio, sentiamolo, sentiamo quanto è bello.
sioulette
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